Oltre la follia Wyman Guin Questo è uno dei migliori romanzi brevi apparsi sulla gloriosa e purtroppo defunta «Galaxy». Wyman Guin, che esordì nel 1951 con questo bizzarro e convincente ritratto di un mondo di schizofrenia universale, produsse, nei successivi dieci anni, soltanto cinque o sei altri racconti, scomparendo poi senza lasciare tracce nell’oblio più completo. Peccato, perché aveva davvero delle qualità, come potrete constatare leggendo questa originalissima vicenda. Wyman Guin Oltre la follia L’orario pomeridiano, nel primo giorno di ego-rotazione di Mary Walden, stava finendo, e la ragazza era ormai certa che l’insegnante non l’avrebbe chiamata a leggere il suo compito, quando Carl Blair ebbe la pensata di passarle un bigliettino sporco. Immaginando che doveva trattarsi di una poesiola divertente quanto spinta, da gabinetto per la ego-rotazione, Mary allungò una mano per prenderlo. E fu in quel momento che la voce della signora Harris squillò nell’aula: — Carl Blair! Sembra che tu abbia lì un messaggio molto importante. Devo perciò supporre che non avrai niente in contrario a rendercene edotti; vieni alla cattedra, per favore. Mentre avanzava fra i banchi il ragazzo si sbiancò un poco, e le sue lentiggini risaltarono più scure sul pallore delle guance. Aprì il foglietto e lesse, con voce agonizzante e monotona: C’era un giovane iperego di nome Arno che si trovò una terza testa per l’inverno. Disse allora: «Ma benone, non mi dispiace questa situazione. Lascerò a lei l’intera brutta stagione.» La scolaresca non osò ridere. I loro sguardi s’abbassarono sui banchi a disagio e vergognosi. Mary fece lo sbaglio d’indirizzare un’occhiata di solidarietà a Carl Blair mentre tornava a sedere, e subito dopo si pentì d’esser stata gentile con lui perché la Harris disse: — Mary Walden, visto che avevi tanto desiderio di leggere qualcosa, immagino che non ti dispiacerà leggere il tuo tema alla classe. Ecco che era accaduto, e proprio quando la lezione stava terminando. Mary provò l’impulso di ficcare le unghie sul sorrisetto melenso di Carl Blair. Con una smorfia raccolse il quaderno e andò alla cattedra. — Il tema di oggi è sulla Storia della Medicina: La schizofrenia, dai giorni antichi ad oggi. — Mary riprese fiato e attaccò con il primo paragrafo: — La schizofrenia è la condizione che si verifica quando due o più personalità convivono nello stesso cervello. Gli antichi, nel XX Secolo, consideravano la schizofrenia una malattia! Tutti pensavano che fosse una vergogna avere uno schizofrenico in famiglia, e poiché i bambini abitavano con gli stessi genitori da cui erano nati questo era molto spiacevole. Se un bambino del XX Secolo era schizofrenico, lo avrebbero rinchiuso dietro le sbarre e la gente lo avrebbe chiamato… Mary arrossì, incespicando su quell’imbarazzante parola: — «pazzo». Gli antichi rinchiudevano tanto gli individui con un gruppo di ego forti, che quelli con ego deboli. Oggi invece rinchiuderemmo la gente che faceva questo. La scolaresca annuì in silenzio. — Ma c’erano sempre più schizofrenici da rinchiudere. Nel 1950 le prigioni e gli ospedali erano così pieni di gente schizofrenica che gli antichi non avevano più spazio per mettercene altri. Stavano cominciando a capire che presto tutti quanti sarebbero diventati schizofrenici. «Naturalmente, nel XX Secolo gli schizofrenici erano disperati e “pazzi” come quegli antichi Moderni. Naturalmente non andavano in guerra, e conducevano la triste e sciocca vita dei Moderni, ma senza le droghe adatte non potevano controllare la loro ego-rotazione. Le diverse personalità di uno stesso cervello non facevano che combattersi l’una con l’altra. Una personalità poteva tagliare o ferire il suo corpo, o tenerlo sporco, così quando l’altra personalità riusciva a riprenderlo ne avrebbe sofferto. No, la gente schizofrenica del XX Secolo era quasi “pazza” come gli antichi Moderni. «Ma l’una dopo l’altra vennero scoperte le droghe, e gli schizofrenici del XX Secolo furono liberati dalla sofferenza. Con le droghe, finalmente, le personalità di uno stesso corpo avevano il modo di vivere fianco a fianco in armonia. Si scoprì che molti schizofrenici, dapprima creduti semplicemente dei superdotati, avevano invece tanti talenti e sfaccettature psichiche che occorrevano loro due o più personalità per realizzarli tutti. «Le droghe funzionarono così bene che gli antichi dovettero liberare milioni di schizofrenici dai luoghi con le sbarre dove li avevano chiusi. Questa fu la Grande Emancipazione del 1990. Da allora in poi la gente schizofrenica soffre soltanto quando, criminosamente, non prende le droghe. Di solito in. una persona schizofrenica ci sono due ego: l’iperego, o prima personalità, e l’ipoego, o personalità alternata. Una volta ce n’erano anche più di due, ma la Sorveglianza Medica fa in modo che ognuno di noi prenda le sue droghe affinché questo non ci accada più. «Alla fine, dunque, qualcuno capì che se tutti avessero preso le nuove droghe tutte le guerre sarebbero terminate. Al Congresso Mondiale del 1997 furono approvate leggi per rendere obbligatorio l’uso delle droghe. Ci furono molti disordini per questo, perché alcuni volevano restare Moderni e combattere le guerre. Ma fu organizzata la Sorveglianza Medica, che ebbe il compito di eliminare tutti quelli che non volevano prendere le droghe come prescritto. Ora le leggi non si possono più infrangere, ciascuno prende le droghe, e gli iperego e gli ipoego hanno così il permesso di alternarsi in un corpo per turni di ego-rotazione di cinque giorni… Mary Walden vacillò. Alzò gli occhi sui compagni di classe, si volse alla signora Harris e sentì lo stordimento roteare nella sua testa. Sei grandi ondate di silenzio in crescendo le sommersero i pensieri. Il silenzio spazzò via tutto ciò che era in lei salvo il terrore, che scosse di tremiti il suo corpo snello. Sentì la signora Harris affrettarsi all’armadietto dei medicinali, appeso a una parete, e tornare con un tampone antisettico e una siringa sterile. La donna l’aiutò a sedersi, le praticò l’iniezione con mani esperte, e dopo qualche minuto la mente di lei risalì dall’abisso di silenzio che l’aveva sommersa. — Mary, tesoro, mi spiace. Avrei dovuto osservarti meglio. — Oh, signora Harris… — Il mento di lei ebbe un tremito. — Spero che questo non mi succeda più. — Via, bambina, tutti ci passiamo da giovani. Tu sei soltanto un po’ più lenta degli altri nell’abituarti alle droghe. Fra poco avrai quattordici anni, e il sorvegliante medico mi ha assicurato che ti lascerai alle spalle questi inconvenienti come tutti quanti. La signora Harris lasciò libera la scolaresca, e quando i ragazzi furono sfilati fuori dall’aula si volse a Mary: — Cara, sarà meglio che ti accompagni in infermeria, non credi? — Sì, signora Harris. — Mary s’era ormai calmata. Provava solo un po’ di vergogna per essere una ragazza così difficile e tanto lenta ad abituarsi alle droghe. Mentre a fianco dell’insegnante s’avviava nel lungo corridoio che portava all’infermeria, Mary si chiese se non avrebbe dovuto rivelare al sorvegliante medico quel che in realtà non andava. Non era qualcosa dentro di lei. Era la sua ipoego, quella piccola insopportabile Susan Shorrs. Qualche volta, quando era Susan ad avere il corpo, le cose che faceva e pensava giungevano a Mary sotto forma di ciò che gli antichi chiamavano sogni, e a Mary non era mai piaciuto quell’ego secondario, che non avrebbe mai potuto realmente conoscere. Quella sudicia ragazzina non si prendeva la minima cura dei suoi capelli, e quand’era di nuovo il suo turno di ego-rotazione Mary si ritrovava sempre sporca e spettinata. Nell’infermeria la signora Harris si fermò ad attenderla in anticamera. A Mary fece piacere trovare di turno il capitano Thiel, un sorvegliante medico dai modi simpatici; ma non parlò molto mentre l’uomo le faceva i Raggi X, e durante i prelievi di sangue si concentrò per mostrarsi docile e coraggiosa. Poco dopo, mentre il capitano Thiel le esaminava gli occhi con la piccola luce da oculista, Mary disse con calma: — Lei conosce la mia ipoego, Susan Shorrs? Il sorvegliante medico si rialzò e prima di rispondere prese un breve appunto. — Sì certo. Anche lei capita qui abbastanza spesso. — È molto simile a me? — Non troppo. Comunque è una ragazzina a modo… — Esitò, visibilmente imbarazzato. Mary deglutì saliva. — Mi dica la verità. Com’è? Il capitano Thiel ritrovò il suo sorriso professionale. — Be’, ti rivelerò un segreto se prometti di tenerlo per te. — Oh, lo prometto. Lei sentì il suo odore di pulito quando l’uomo si sporse a mormorarle all’orecchio: — Non è neppure lontanamente carina e graziosa come te. Per un attimo Mary quasi cedette alla tentazione di abbracciarlo. Poi, riflettendo che la signora Harris era lì fuori e avrebbe potuto accorgersene, si ritrasse con un sospiro contro la spalliera della sedia. — Susan — si decise a dire, — è lei la causa di tutto, quella piccola sporcacciona. — Ehilà! — esclamò il sorvegliante medico. — Io non direi una cosa simile, Mary. Anche lei ha le sue difficoltà, lo sai. — Continua a rimpinzarsi di cioccolatini — disse lei, acremente. — E che c’è di male in questo? — Ma lei l’anno scorso le ha detto di non farlo, perché quando è il mio turno mi sveglio con il mal di pancia. Invece quella maialetta ingurgita un sacco di porcherie. Il sorvegliante medico non prese l’informazione alla leggera. Scrisse un’altra nota. — Questo avresti dovuto dirmelo prima, Mary. — Secondo lei io non piaccio a mio padre perché la mia ipoego è Susan Shorrs? — gli domandò d’un tratto. — Non credo proprio, Mary. Dopotutto lui non la conosce neppure. I loro turni di ego-rotazione non coincidono. Un poco sì — disse Mary, e subito se ne pentì, con un brivido. Il capitano Thiel la scrutò, accigliato. — Cosa vuoi dire con questo, bambina? — Oh, niente — si corresse in fretta lei. — Pensavo solo che forse coincidessero… un pochino. — Vediamo il tuo medibox — ordinò l’uomo in tono alquanto severo. Mary si slacciò dalla cintura l’astuccio che portava al fianco e glielo porse. Il capitano Thiel staccò dalla parte posteriore la cartella delle prescrizioni e la gettò via. Inserì un’altra cartella nel computer, batté sulla tastiera una nuova prescrizione e la rimise nell’astuccio. Sul lato frontale scrisse poi istruzioni su come andavano prese le nuove quantità di droga. Mary osservò il suo volto serio e rifletté che, dicendole che era più carina di Susan, le aveva fatto un complimento. — Capitano Thiel, il suo ipoego è attraente quanto lei? Il giovane sorvegliante medico vuotò il medibox delle droghe avanzate e lo inserì nel dispensatore automatico. La domanda di lei parve colpirlo assai poco perché borbottò: — Molto più attraente. L’apparecchiatura riempì l’astuccio secondo la nuova prescrizione, e l’uomo lo restituì a Mary. — Prendi sempre le tue droghe seguendo scrupolosamente le istruzioni? Sai che ci sono leggi severe, e che dai quattordici anni in poi sarai obbligata a rispettarle. Mary annuì solennemente. Santo cielo, chi mai non sapeva che le leggi sull’obbligo di assumere le droghe non scherzavano? Ci fu una lunga pausa, e la ragazza capì che avrebbe potuto uscire. Tuttavia lei voleva restare un po’ con il capitano Thiel e parlare con lui. Si domandava spesso come sarebbe stato ad avere lui come padre-assegnato. Non la ferì vedere che il suo timido complimento era passato inosservato; avrebbe soltanto voluto avere un argomento di cui parlare. Infine disse, quasi per disperazione: — Capitano Thiel, com’è possibile che un corpo cambi tanto da un’ego-rotazione all’altra, come succede con Susan e me? — Non c’è poi il gran cambiamento che credi — disse lui. — Hai già avuto ie prime lezioni di fisiologia? — Sì. Sono state interessanti… — Mary capì dal suo sorriso che l’argomento da lei tirato in ballo s’era trasformato in una trappola. — Allora, signorina Mary Walden, tu come pensi che sia possibile? Perché gli insegnanti e i sorveglianti medici dovevano sempre assumere quei tono? Quando uno avrebbe voluto fare soltanto due chiacchiere, loro rigiravano la frittata e lo costringevano a riflettere. Citando il libro di testo disse, con aria infelice: — La cosa saliente nell’ego-rotazione sono i due sistemi neuro-vegetativi, i quali trasmettono dal cervello al sangue e agli organi le caratteristiche psico-chimiche delle due differenti personalità. Il sistema neuro-vegetativo cambia infatti le percentuali di zucchero consumato o immagazzinato dal fegato, quelle delle sostanze filtrate o scaricate dai reni e… Attraverso la porta socchiusa udì in quel momento la voce della signora Harris che stava parlando al visifono: — Ma, signor Walden… — Riassorbite o scaricate — la corresse il capitano Thiel. — Cosa? — Per un attimo lei non seppe cosa ascoltare: se la voce della signora Harris o quella del sorvegliante medico. — È meglio dire che i reni riassorbono dal sangue filtrato i sali e le sostanze nutritive. — Oh! — Ma signor Walden, esagerando potremmo rovinare tutto. Trascurare i figli entro il giusto limite è addirittura richiesto per il pieno sviluppo di alcune personalità, e Mary è certo una di queste… — Che mi sai dire della pituitaria, che è collegata al cervello e durante l’ego-rotazione controlla tutte le altre glandole? — la incalzò il capitano Thiel. — Ma signor Walden, trascurarla troppo in un momento critico come questo potrebbe causare l’emergere di una terza personalità, e non possiamo assolutamente permetterlo. Le personalità adatte sono congenite. Una nuova, adesso, potrebbe cancellare le due già esistenti. Lei è il padre-assegnato di questa ragazzina, e il Ministero dell’Educazione può costringerla a tener conto della nostra diagnosi… Nella mente di Mary balenò una pagina d’un libro di favole della sua infanzia. L’illustrazione mostrava una bambina seduta sotto un grande albero i cui rami si protendevano su un ruscello. Piccoli animali selvatici la osservavano con fare amichevole. Mary riuscì a vederla molto nitidamente, tant’era intenso lo sforzo che faceva per concentrarsi su di essa ed evitare così di piangere. — Stai forse pensando a qualcos’altro, Mary? — Il capitano Thiel la stava fissando stranamente. L’agitazione con cui ella rispose lo sorprese: — Devo andare a casa; ho un sacco di cose da fare. Arrivederci. In corridoio la signora Harris parve improvvisamente capire che qualcosa non andava, ma quando cercò di capire se le sue preoccupate frasi al telefono fossero state udite Mary la precedette, esibendo un tono causale: — Mio padre era a casa quando lei lo ha chiamato poco fa? — Be’… sì, Mary. Ma gli ho telefonato soltanto perché era tempo che avessimo un colloquio. Non puoi costringerlo a volermi bene, pensò fra sé, irritata perché l’intromissione della signora Harris avrebbe soltanto peggiorato le cose fra lei e suo padre. Né il padre né la madre erano in casa quando Mary aprì la porta dell’appartamento immerso nel buio. Quello era il primo giorno di ego-rotazione dell’intera famiglia, e anche nei successivi i genitori non sarebbero rientrati fino a tardi. Mary fece il giro delle stanze vuote, accendendo le luci. Ignorò la cena che suo padre le aveva lasciato sul riscaldatore elettrico, e quasi senza volerlo si trovò davanti alla porta del ripostiglio. La aprì lentamente. Dopo aver esitato un poco cominciò una sistematica ricerca del vecchio libro di favole con le illustrazioni. Solo più tardi, quando capì che non l’avrebbe trovato, in piedi nel piccolo locale ingombro di oggetti in disuso cominciò a piangere. * * * Il giorno che per Mary s’era concluso con un fiotto di lacrime solitarie avrebbe dovuto essere invece tutto un riposo per Conrad Manz, con in più un’oretta di volojet verso il mezzogiorno. Invece quel mattino si svegliò con un sussulto accorgendosi, incredulo, che sua moglie parlava mentre ancora dormiva. S’avvicinò al letto di lei per accertarsene, ma dormiva davvero. Era come se la mente di lei credesse d’essere da qualche altra parte, e di fare chissà cos’altro. Vagamente ricordava che gli antichi facevano qualcosa chiamato sognare mentre dormivano, e il pensiero lo fece rabbrividire. — Oh, Bill! — stava dicendo Clara Manz. — Ci prenderanno; non possiamo recitare più questa commedia, così senza droghe. Non abbiamo delle droghe qui, Bill? Poi tacque e parve calmarsi. Ma il suo respiro era rapido, e anche nella grigia luce dell’alba il suo volto incorniciato dai capelli biondi appariva soffuso di rossore. Poiché s’era appena svegliato Conrad aveva nel sangue una bassa percentuale di droghe, e quell’incidente gli apparve quanto mai seccante. Raccolse dal comodino il suo medibox e andò in bagno. S’iniettò la sua dose di Talamblok, gli enzimi integrativi, e tornò in camera da letto. Clara stava ancora dormendo. Era da qualche tempo che si comportava stranamente, pensò, ma non aveva mai avuto nulla di simile a sintomi di quel genere. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare un sorvegliante medico, ma naturalmente sapeva anche che non avrebbe fatto nulla di così estremo. Con ogni probabilità la cosa aveva una spiegazione: una spiegazione semplice. Clara era sempre stata un po’ spaventata. Magari aveva dimenticato di prendere la Soporina, e di conseguenza aveva sognato. La sola parola bastava a dare un tremito al suo corpo robusto. Ma se si era dimenticata di prendere una delle sue droghe obbligatorie e lui avesse chiamato un sorvegliante medico, la faccenda avrebbe avuto gravi conseguenze. Conrad andò allo scaffale dei libri e ne trasse fuori Le Vostre Droghe. Accese una lampada nella stanza appena illuminata dall’aurora e sedette pesantemente in poltrona. Imparate a conoscere meglio le droghe della vostra famiglia. Edizione Governativa, 2831. Il libro era quasi tutta propaganda della Sorveglianza Medica, e non dava quasi nessun suggerimento pratico. Se qualcosa non andava, bisognava comunque chiamare un sorvegliante medico. Conrad sfogliò le pagine in cerca del capitolo dove si parlava della Soporina. Certo era strano che lei avesse fatto quel nome: Bill. Ripassò tutti gli uomini di cui loro due erano amici, quelli con cui Clara aveva unioni occasionali, gli amici degli amici di lei, e non riuscì a ricordare nessun Bill. L’unico individuo di quel nome che lui conoscesse era il suo iperego, Bill Walden. Ma naturalmente questo era impossibile. Probabilmente il sognare riguardava sempre persone immaginarie. SOPORINA: una mistura ufficialmente approvata di soporiferi naturali, alcaloidi ipnotici e sostanze sintetiche. È una droga importante, parte essenziale di ogni ricetta personale. Non sono permesse neppure lievi deviazioni nel seguire le prescrizioni, poiché il comportamento dei contravventori può venir sottilmente alterato nel corso degli anni. Il primo tipo di Soporina fu scoperto da Thomas Marshall nel 1986. Da allora la formula base è stata modificata solo due volte. Seguiva una particolareggiata descrizione chimica e farmacologica dei vari ingredienti, e Conrad la saltò. Si può meglio capire l’importanza della Soporina nella vita dell’individuo e della società quando rileggiamo le parole con cui Marshall annunciò la sua scoperta: «È durante il cosiddetto sonno normale che il nostro inconscio malato (responsabile delle guerre e di ogni altra causa d’infelicità) sviluppa le sue risorse e rafforza la presa sulla nostra vita cosciente. «Durante questo sonno normale le capacità critiche della corteccia sono paralizzate. E, nel contempo, l’inconscio infantile espande le sue malinterpretate esperienze nei tossici schemi delle neurosi e delle psicosi. La mente conscia si risveglia al mattino senza sospettare che quelle motivazioni infantili sono state malignamente insinuate nella sua struttura intima. «La Soporina impedisce questo processo. È una droga innocua che mette fine alle inconscie attività oniriche. A nostro parere la Sorveglianza Medica dovrebbe subito approvare leggi al fine di abituare al suo uso ogni bambino. In questi giovani, col passar degli anni, l’inconscio che non potrà avvelenare la loro mente nel sonno combatterà una battaglia persa nelle ore di veglia, con gli schemi consci che premono verso la positiva maturazione dell’adulto». Non c’era altro. In ognuna delle sue pubblicazioni la Sorveglianza Medica non faceva che congratularsi con se stessa per aver salvato l’umanità. Ma se qualcuno era nei guai e chiamava un sorvegliante medico, allora finiva veramente nei guai. Conrad s’accorse che Clara era in piedi sulla porta. Fra il rossore delle sue disordinate emozioni ed il pallore della stanchezza, le guance di lei erano chiazzate come se l’avessero presa a schiaffi. Conrad depose il libro e con un goffo gesto d’imbarazzo le indicò il titolo: — Signora mia, tu… hai dimenticato di prendere la Soporina? Clara si fece ancora più pallida: — Io non… non capisco. — Stavi parlando nel sonno. — Io… davvero? La giovane donna vacillò avanti a passi così deboli che lui dovette aiutarla a sedersi. Lo fissò. In tono gioviale Conrad chiese: — Chi è questo Bill con cui eri così disperatamente coinvolta? Hai una relazione di cui non so nulla? Forse i miei amici non sono abbastanza belli per te? Il risultato di quel tentativo spiritoso fu che lei cominciò a piangere in modo allarmante. Si strinse la vestaglia attorno, abbassò la testa bionda fin sulle ginocchia e scoppiò in singhiozzi. Ai bambini capitava di piangere prima d’abituarsi alle droghe, ma in vita sua Conrad Manz non aveva mai visto piangere un adulto. Benché avesse appena preso le sue droghe mattutine e certe spiacevoli emozioni fossero già impossibili per lui, quei singhiozzi rischiarono di sconvolgerlo. Fra un ansito e l’altro Clara stava balbettando: — Oh, io non posso tornare a prenderle! Ma così non posso farcela! Proprio non posso! — Clara, tesoro, non so cosa dirti e neanche cosa fare. Penso che sarebbe meglio chiamare la Sorveglianza Medica. Con un gemito di spavento lei si alzò e lo abbracciò, tremante e supplichevole. — Oh, no, Conrad, non è necessario, credimi! Questo non è necessario. Ho soltanto dimenticato di prendere la mia Soporina, ma non succederà più. Tutto ciò di cui ho bisogno è un po’ di Soporina. Ti prego, prendi il mio medibox e vedrai che poi starò bene. Era così disperata che Conrad si lasciò convincere, e pur di vedere la paura abbandonare il suo volto andò a prendere il medibox di lei e un bicchiere d’acqua. Pochi minuti dopo aver preso la Soporina la giovane donna s’era calmata, e mentre lui la faceva stendere sul letto rise, con pigra indolenza. — Oh, Conrad, tu prendi tutto così sul tragico. Avevo bisogno della Soporina, nient’altro, e adesso sto benissimo. Dormirò tutto il giorno. Oggi è giorno di riposo, no? Adesso vai pure a gareggiare con il volojet, e smettila di preoccuparti e non pensare più di chiamare nessun sorvegliante medico. Ma Conrad non andò a fare un’ora di volojet come aveva programmato. Clara s’era riaddormentata solo da pochi minuti quando il visifono squillò: in ufficio avevano bisogno di lui. La città di Santa Fé sarebbe finita nel caos entro una dozzina di ego-rotazioni se i nuovi piani del traffico non fossero divenuti operanti quanto prima. Avrebbero dovuto cominciare ad applicarli nei cinque giorni successivi, cioè quando non sarebbe stato il suo turno di ego-rotazione. E adesso lui e gli altri tre direttori del traffico con cui lavorava dovevano familiarizzarsi con la nuova operazione, per essere pronti fin dal primo giorno del loro prossimo turno. Conrad diede un’occhiata a Clara prima d’uscire e la trovò profondamente addormentata, nella totale sospensione di coscienza prodotta dalla razione di droga prescrittale. Al ricordo del suo spiacevole comportamento ebbe ancora una smorfia, tuttavia ora che l’episodio era chiuso non volle preoccuparsene più. Era tipico di lui togliersi dalla mente ogni guaio, una volta rimesse le cose sul binario giusto: ora non avrebbe più pensato a lei fino a sera. * * * Fin dal 1950 il pioniere dell’ingegneria delle comunicazioni Norbert Wiener aveva dimostrato che c’era una stretta relazione fra la dissociazione delle personalità e il disordine in un sistema di comunicazioni. Wiener s’era riferito specificamente alla prima chiara descrizione, fatta da Morton Prince, delle personalità multiple che convivevano in uno stesso corpo. Prince aveva studiato solo casi individuali, e le sue osservazioni non erano del tutto accettabili ai tempi di Wiener. Comunque, nella società schizofrenica del XXIX Secolo uno dei maggiori problemi consisteva nell’equilibrare le attività della popolazione inserita, oppure disinserita, nei sistemi di comunicazione. Per quel che riguardava Conrad e gli altri esperti del traffico presenti alla riunione, Santa Fé era un’area d’ingresso e di uscita per 100.000 corpi umani, i quali consumavano più di quel che producevano ogni singolo giorno dell’anno. Qualunque cosa stabilissero i rappresentnati della Sorveglianza Medica e dell’Ufficio delle Comunicazioni, non avrebbero dovuto esserci grossi mutamenti nel tipo di generi alimentari o altri prodotti di consumo in ingresso a Santa Fé, e Conrad avrebbe potuto farsi un’idea dell’intero nuovo piano del traffico in dieci minuti dopo che il problema fosse stato messo in tavola. Ma, come al solito, lui e gli altri esperti del traffico dovettero starsene seduti per due ore mentre le rotelline della Sorveglianza Medica e dell’Ufficio delle Comunicazioni giravano sui loro problemi circa l’equilibrio della popolazione. Per loro, Conrad doveva pur ammetterlo, Santa Fé non rappresentava soltanto 100.000 corpi umani in attività: le personalità umane erano 200.000, due per ogni corpo. Talvolta Conrad si chiedeva come se la sarebbero cavata se i casi di tre o quattro personalità multiple, così frequenti nel XX e nel XXI Secolo, fossero stati permessi. Le 200.000 personalità che si alternavano a Santa Fé erano già un problema abbastanza complesso. Come tutte le città, Santa Fé operava su cinque turni di ego-rotazione: A, B, C, D, ed E. Per Conrad questo significava dunque che a Santa Fé quello era il giorno di riposo suo e di altri 20.000 ipoego del turno D. Quella sera, verso le 18, costoro si sarebbero recati in un gabinetto per la ego-rotazione e sarebbero stati rimpiazzati dai loro iperego, i quali avevano gusti diversi in fatto di cibarie e di divertimenti, e usavano diverse quantità di droga. L’indomani sarebbe stato il giorno di riposo per gli ipoego del turno E, i quali a sera avrebbero anch’essi lasciato il corpo ai loro iperego. Il giorno successivo sarebbe stato quello di riposo per gli ipoego del turno A, e tre giorni più tardi tutti gli iperego del turno D, incluso Bill Walden, si sarebbero riposati fino a sera, quando nuovamente Conrad e ogni altro ipoego cittadino del turno D avrebbero ripreso possesso dei loro corpi per cinque giorni consecutivi. In quel momento il guaio in una città isolata come Santa Fé, la cui popolazione lavorava solo per il suo mantenimento, stava nel fatto che troppa gente anziana del turno D e del turno E stava morendo. Il problema fu illustrato da un ambizioso e attivo giovanotto delle Comunicazioni. Conrad mugolò rassegnato quando, proprio come avrebbe giurato, un ufficiale della Sorveglianza Medica s’affrettò a dimostrare, carte alla mano, che la Sorveglianza aveva già previsto quell’aumento di decessi, raccomandando da tempo che le Comunicazioni provvedessero a spostare in quell’area nuovi cittadini appartenenti ai turni D ed E. Presto fu evidente che qualcuno delle Comunicazioni aveva fatto uno sbaglio, sopravvalutando il numero di persone del turno A e del turno B che dovevano essere trasferite a Santa Fé. Di conseguenza in uno dei giorni di riposo non c’era abbastanza gente al lavoro per mandare avanti ogni attività, mentre in quelli successivi c’era un sovrappiù di lavoratori che erano costretti a starsene con le mani in mano e incrementavano il traffico cittadino. Non ci furono scambi di accuse né diatribe accese, né discorsi emotivi. La riunione fu soltanto fatta di esposizioni pacate, perfettamente logiche e noiosissime. Conrad sopportò doverosamente quelle due ore di chiacchiere, ogni tanto pensando al volojet che ormai per quel giorno se ne andava in fumo. Quando finalmente il problema di come riequilibrare il numero di cittadini attivi nei vari turni di ego-rotazione fu riassunto in cifre, a lui e agli altri direttori del traffico bastarono pochi minuti per applicare quei dati al nuovo schema di funzionamento delle strade e dei mezzi pubblici. Abbastanza disgustato, al termine della riunione Conrad uscì e andò a pranzo al Tennis Club. Mancavano ancora due ore al termine del suo giorno di riposo quando Conrad s’accorse che Bill Walden stava cercando di nuovo di costringerlo a lasciargli il corpo in anticipo. In quel momento Conrad era nel bel mezzo di una partita di tennis, e inoltre non gli piaceva l’idea di regalare all’altro due ore del turno che apparteneva a lui. In genere la gente eseguiva la ego-rotazione giusto all’ora stabilita, ogni cinque giorni, ed era inteso che un iperego non dovesse usare il suo potere per forzare in anticipo il cambiamento di turno. Già da tempo qualcuno parlava di eliminare i termini «iperego» e «ipoego», definendoli discriminanti, poiché la loro esistenza era giustificata solo dal fatto, antisociale, che gli iperego avevano il potere di effettuare di forza la ego-rotazione in anticipo. Erano già parecchi turni che Bill Walden imbrogliava, rubando da due a quattro ore di proprietà del suo ipoego. Conrad avrebbe potuto fare rapporto alla Sorveglianza Medica, senonché anche lui era colpevole di un misfatto per il quale Bill Walden non s’era ancora lamentato ufficialmente. A differenza del sedentario Walden, Conrad Manz era un patito dell’attività fisica. Indulgeva più del normale in sport abbastanza violenti e dormiva poco, lasciando che a pagare i suoi sforzi fisici fosse poi Bill Walden durante il suo turno. Questo, pensò Conrad, era senza dubbio il motivo per cui il povero bastardo aveva cominciato a rubare qualche oretta dal suo giorno di riposo. Conrad sogghignò fra sé al ricordo della volta in cui Bill Walden aveva registrato una lunga lista di sport da cui desiderava che lui si astenesse: le gare di volojet, l’esplorazione subacquea, i razzo-sci e altri. Questo non aveva fatto che dare a Conrad alcune idee nuove. E la Sorveglianza Medica aveva rifiutato di avallare quella lista, sulla base del fatto che gli sport violenti erano necessari all’equilibrio psicofisico di Conrad. Il povero vecchio Bill aveva allora scritto a Conrad una nota, con cui minacciava di citarlo in giudizio se avesse riportato danni fisici a causa di quegli sport. Come se pensasse d’avere qualche possibilità contro un regolamento della Sorveglianza Medica! Conrad sapeva che sarebbe stato inutile cercar di finire la partita di tennis. Quando Bill cominciava a forzarlo perché abbandonasse il corpo, non riusciva a concentrarsi su quel che stava facendo e perdeva interesse nella cosa. Con un forte colpo di rovescio spedì la palla nel campo del suo avversario, in una curva impossibile da intercettarsi. — Per oggi basta! — gridò all’altro. — Ho qualche cosetta da fare prima che scada il mio turno. Ci vediamo! Stanco e sudato s’avviò senza fretta agli spogliatoi e alle docce del Tennis Club, mise i suoi abiti e i suoi effetti personali in un pacco postale, includendovi anche il medibox, vi scrisse l’indirizzo di casa sua e lo spinse nell’apparecchiatura che l’avrebbe spedito automaticamente. Poi si lavò. Completamente nudo riattraversò il locale, premette il suo bracciale d’identità su un terminale e batté sulla tastiera le sue misure. L’apparecchiatura gli fornì un indumento molto semplice e aderente: il tipo standard usato per la ego-rotazione. Lo indossò, senza preoccuparsi di tornare ad asciugarsi meglio. Fatto ciò salutò ad alta voce gli uomini e le donne che conosceva di vista, uscì dalle docce e s’incamminò fuori dal Tennis Club. Conrad si sentiva fisicamente troppo bene per stare a intristirsi sulla fine del suo turno. Dopotutto, si disse, ciò che accadeva era soltanto che da lì a cinque giorni uno se ne tornava nel proprio corpo. L’importante per lui era sfruttare bene il giorno di riposo. Spesso si era rammaricato che l’ultimo del turno non fosse un giorno lavorativo, cosa che l’avrebbe reso più lieto di mettervi termine. Ma quella legge si basava sul principio che uno aveva il dovere di riposare il corpo prima di lasciarlo all’altra personalità. Be’, il povero vecchio Bill non si sarebbe visto consegnare un corpo molto riposato. Probabilmente avrebbe dormito per una dozzina d’ore di fila, pensò. Una tranquilla passeggiata per le strade affollate portò Conrad alla più vicina stazione pubblica per l’ego-rotazione, e quando fu all’interno cercò un gabinetto libero. Mentre stava per aprire la porta vide una ragazza uscire dal gabinetto adiacente, e non poté fare a meno di lanciarle un’occhiataccia. La giovane si stava ancora risistemando i capelli. Come al solito c’era una quantità di maleducati, le donne in particolare, a cui non sembrava importare affatto il buon comportamento connesso all’ego-rotazione. Uscivano mentre ancora si stavano sistemando il trucco e i capelli, incuranti che chiunque potesse vederli a metà della loto toeletta. Conrad premette il bracciale d’identificazione sulla serratura ed entrò nel piccolo locale. Con quel gesto aveva automaticamente inviato sia l’ora sia il suo numero di ego-rotazione al Centro Sorveglianza Medica. Appena la porta fu chiusa andò al lavandino e premette il pulsante che forniva il solvente per il trucco. Malgrado il furto di quelle due ore del suo giorno di riposo stabilì d’essere gentile con il vecchio Bill, anche se era stato tentato di non levarsi il trucco. Quello era uno scherzo che a volte lo divertiva, in specie se messo in atto contro un tipo privo d’umorismo come il povero Walden. Conrad si passò la crema sul volto, si sciacquò con l’acqua e poi si girò per lasciarsi asciugare dalla corrente d’aria calda. Lo specchio gli rimandò l’immagine di un volto forte dai lineamenti decisi, ma senza il trucco questi non riflettevano appieno l’espressione tipica della sua personalità e fece una smorfia. Fu solo mentre distoglieva gli occhi dallo specchio che ricordò di non aver parlato a sua moglie prima dell’ego-rotazione. Be’, ormai non sarebbe stato decente chiamarla e lasciarle vedere la sua faccia senza il trucco. Andò al visifono, regolò l’apparecchio per mandare a casa sua soltanto un messaggio scritto, e batté sulla tastiera: «Salve, Clara. Spiacente di non averti chiamato prima. Bill Walden mi costringe di nuovo a fare la rotazione in anticipo. Spero che ti sia ripresa dalla faccenda di questa mattina. Fai la brava ragazza e al prossimo turno accoglimi con un bel sorriso. Ti amo. Conrad». * * * Per un attimo, quando l’ego-rotazione avvenne, il corpo di Conrad Manz fu solo un involucro disabitato. Poi la personalità di Bill Walden emerse nelle circonvoluzioni del cervello, e l’espressione noncurante ed energica di Conrad fu sostituita da quella di affettata compostezza tipica di Bill. La pelle, fino a poco prima rilassata dall’azione fisica, sotto un diverso schema di tensioni neuromuscolari si stirò, rivelando d’un tratto un volto ansioso e intelligente. Per alcuni secondi ci furono delle contrazioni spasmodiche, mentre l’attività del sistema nervoso vegetativo di Bill Walden si scontrava con l’omeostasi interna che Conrad Manz aveva lasciato dietro di sé. Poi le glandole presero a immettere nella circolazione diverse quantità di sostanze, le ipersensibili estremità vascolari si chiusero e la faccia impallidì un poco. Appoggiato al lavandino Bill Walden ansimò e grugnì, odiando l’odore del solvente del trucco che gli entrava nel naso. Ma l’unica cosa che riusciva a pensare continuava a roteargli nella mente, allarmante e minacciosa: Loro ci prenderanno. Non ci vorrà molto prima che Helen cominci a sospettare di Clara. Già la irrita molto il fatto che Clara riesca a prolungare il suo turno, e se venisse a sapere da Mary che io anticipo la rotazione con Conrad… Da ora in poi ogni turno potrà essere quello in cui mi troverò a guardare in faccia un sorvegliante medico armato di una siringa, pronto a infilarmela in un braccio. E allora tutto sarà finito. In quel momento, comunque, non c’erano sorveglianti medici in attesa. Sentendosi ancora un po’ irreale ma avido di non sprecare quelle ore preziose, Bill tolse dal distributore automatico una confezione standard per il trucco e cominciò a rifarsi la faccia. A differenza del pesante e disgustoso make-up che ogni tanto Conrad Manz gli lasciava sulla pelle, il suo trucco era scarso e molto leggero. Si pettinò i capelli alla meglio. Conrad li portava sempre troppo corti per i suoi gusti, ma quello era uno dei particolari più insignificanti per cui avrebbe dovuto lamentarsi. Sedette su una sedia per lasciar libero corso ad alcuni aspetti secondari dell’ego-rotazione. Sapeva che un’ora dopo esser uscito dal gabinetto il suo metabolismo basale sarebbe stato dieci punti più alto. Il tasso di zucchero nel sangue si sarebbe abbassato, e nei successivi cinque giorni avrebbe perso due o tre chili di peso, che Conrad avrebbe riguadagnato prontamente. Era già sul punto di uscire quando ricordò che doveva dare una scorsa al riassunto-notizie. Poggiò il bracciale d’identità sul terminale di un video, e nella rastrelliera sottostante scivolò una fotostampa in cui erano condensate le notizie di cronaca degli ultimi cinque giorni. Il bracciale, ovviamente, aveva richiamato l’edizione apposita e per gli iperego del turno D. Sul riassunto-notizie non compariva il nome di nessun iperego del turno D. Se uno di loro avesse fatto qualcosa che Bill, o altri iperego dello stesso turno, aveva necessità di sapere, era possibile ottenere un’edizione particolare… ma composta in modo che non vi comparivano i nomi delle personalità in oggetto, mentre nomi e foto di iperego e di ipoego appartenenti ad altri turni venivano invece liberamente usati. Questo aveva lo scopo di far risultare Conrad Manz e tutti gli ipoego del suo turno inesistenti per ciò che riguardava i loro iperego. E questo regolamento rendeva necessario l’uso di videofoto su carta sensibile che divenivano illeggibili circa sei ore dopo la stampa, affinché un individuo non si trovasse davanti agli occhi notizie relative al suo ipoego. Bill però non guardò neppure il riassunto-notizie; l’aveva chiesto solo per salvare le apparenze. Per riprendere a vivere e lavorare dopo un intervallo di cinque giorni era necessario sapere cosa fosse successo nel mondo nel frattempo. Nessuno usciva da un gabinetto per l’ego-rotazione senza essersi studiato il notiziario. E poteva essere proprio una piccola svista di quel genere ad attirare sospetti su di lui. Bill applicò il bracciale alla serratura, attese che la porta si aprisse e uscì in strada. Attorno a lui scorreva la folla del tardo pomeriggio. Dall’altra parte del viale, sul campo d’atterraggio degli elitaxi, sciamavano passeggeri in arrivo e in partenza. Bill ebbe qualche difficoltà a capire in quale zona della città Conrad l’aveva lasciato, e dovette oltrepassare un paio di isolati prima di ritrovare l’orientamento. Infine salì su un’auto pubblica a due posti, accese il motore con il bracciale d’identificazione e accelerò per inserirsi nel traffico. Senza dubbio Clara era ansiosa di vederlo, ma come prima cosa doveva andare a casa e vestirsi. Il pensiero di Clara che lo attendeva nel parco a poca distanza dalla sua abitazione gli ricordò la stranezza del momento che stava vivendo. Bill si trovava in un mondo che secondo la legge non doveva neppure esistere per lui, letteralmente, perché quello era ancora il mondo del suo ipoego Conrad Manz. Probabilmente più avanti avrebbe incrociato nel traffico gente che conosceva tanto lui quanto Conrad: gente di altri turni, la quale non parlava mai delle sue piccole incursioni nei turni altrui salvo a lasciarlo capire con piccole maliziose battute, che non potevano fare a meno di buttare lì così come gli altri non potevano fare a meno di ascoltare. Dopotutto, per un individuo la persona più importante al mondo restava il suo alter-ego: se lui si ammalava o aveva un incidente, o moriva, quella era la fine per entrambi. Senza parlare di una quantità di situazioni drammatiche in cui inevitabilmente potevano esser coinvolti tutti e due. Così, nei momenti d’intimità o di umore particolare, capitava di sussurrare in tono di complicità: se mi dici cosa fa il mio ipoego, io ti dirò cosa fa il tuo ipoego… Erano solo le cattive maniere esibite in pubblico che potevano far arrossire qualcuno, o mettergli la paura che la gente riferisse del suo morboso interesse per l’alter-ego a un sorvegliante medico, il quale gli avrebbe subito prescritto dosi di droga più massicce. Ma perfino il più inveterato abusatore di quei piccoli maliziosi sussurri sarebbe rimasto inorridito nell’apprendere che lì, nel mezzo del traffico pomeridiano, c’era un uomo che usava il suo antisociale potere di anticipare il turno per incontrare in segreto la moglie del suo stesso ipoego! Bill non aveva bisogno di chiedersi cosa ne avrebbe pensato la Sorveglianza Medica. Le relazioni fra iperego e ipoego di sesso opposto erano non soltanto proibite, ma drasticamente punite. * * * Quando fu entrato nell’appartamento Bill ricordò che doveva ordinare la cena per sua figlia Mary. Usò il bracciale, batté sulla tastiera il menu del giorno, e quando il cibo arrivò dal tubo pneumatico lo mise nel riscaldatore elettrico. Cercò di scrivere una nota per la ragazzina, ma dopo aver gettato un paio di fogli nel cestino vi rinunciò. In quel momento non riusciva a trovare niente da dirle. Fissando la squallida e solitaria tavola che stava lasciando a Mary, sentì un senso di colpa sopraffarlo all’improvviso. Avrebbe potuto mettere fine alla situazione di cui indirettamente soffriva anche lei, semplicemente prendendo tutte le droghe che gli erano state prescritte. Questo lo avrebbe subito riportato a un comportamento sano, conforme all’ordine e alla legge. Non ce la faceva più a sopportare la paura che la Sorveglianza Medica scoprisse che non prendeva le droghe. Non ce la faceva più a trascurare in quel modo la sua figlia-assegnata. Non ce la faceva più a vivere con il pensiero che stava mettendo in pericolo la vita di Conrad, Clara, oltreché naturalmente la sua. Quando una persona prendeva le droghe che le erano state prescritte, sperimentare antiche e primitive emozioni come il senso di colpa le era impossibile. Anche facendo qualche sbaglio nell’interpretare la ricetta, reazioni emotive di quel genere le restavano sconosciute. Ma proprio perciò, esser libero di sentire quella colpa verso una ragazzina che aveva bisogno di lui era qualcosa di prezioso per Bill. Quella sera lui, in tutto il mondo, era certamente l’unico individuo che si prendeva il lusso di provare una di quelle antiche emozioni. La gente era libera di sentire la vergogna, ma non la colpa; la vanità, ma non l’orgoglio; il piacere fisico, ma non la trepida sofferenza del desiderio. Ora che aveva smesso di prenderle, Bill si rendeva conto che le droghe permettevano di provare solo una povera frazione dell’intero vivido spettro emozionale. Ma per quanto eccitante fosse viverle, le antiche emozioni non sembravano essere un deterrente per i comportamenti illegali. Il senso di colpa di Bill non gli impediva di continuare a trascurare Mary. La sua paura d’essere preso non lo tratteneva dall’infrangere la legge per amare Clara, la moglie del suo ipoego. Si vestì il più in fretta possibile e gettò l’abito da ego-rotazione in uno scarico per la riutilizzazione della stoffa. Poi cominciò a ritoccarsi il trucco, nel tentativo di eliminare alcune contrazioni muscolari facenti parte dell’inespressiva faccia di Conrad più che della sua. Quel gesto gli fece ricordare la vergogna provata da Helen quando aveva saputo, pochi anni prima, che la sua ipoego, Clara, e l’ipoego di lui, Conrad, avevano ottenuto dalla Sorveglianza Medica l’inconsueto permesso di sposarsi. Matrimoni di quel genere, nei quali i due corpi umani vivevano insieme in entrambi i turni di ego-rotazione, erano abbastanza rari e davano origine a maligni pettegolezzi. In realtà erano pericolosamente sull’orlo dell’antisociale, e potevano essere concessi soltanto se dopo innumerevoli test la Sorveglianza Medica decideva di ritenersi soddisfatta. Forse era stata proprio la sciocca intensità con cui Helen s’era vergognata di quel matrimonio, il nauseante conformismo così tipico di lei a dare a Bill l’idea di conoscere Clara, la quale aveva osato invece sfidare le convenzioni per gettarsi in un matrimonio così peculiare. E in quegli anni Helen non aveva mai smesso di dar la colpa di tutti i loro guai al fatto che i loro due alter-ego abitavano e vivevano insieme. Così Bill aveva cominciato a prendere le sue droghe in dosi sempre minori, perché la curiosità era diventata per lui ormai un’ossessione. Chi era mai l’altra personalità che divideva il corpo con Helen: quella Clara abbastanza anticonvenzionale da voler sposare proprio l’ipoego di Bill a dispetto dei pettegolezzi e delle malignità altrui? La prima volta in cui aveva potuto vedere il volto di Clara era stato sullo schermo del visifono, il giorno in cui s’era deciso a costringere Conrad a un’ego-rotazione anticipata. Era molto più dolce di quello di Helen. I suoi lineamenti morbidi rivelavano meno forza di carattere ma più gioia di vivere. — Lei è Clara Manz? — le aveva chiesto Bill, e per qualche secondo non aveva potuto far altro che fissare lo schermo, incapace di parlare, mentre sul suo volto, ne era stato certo, si poteva leggere la paura che lei facesse immediatamente rapporto alla Sorveglianza Medica. Guardandola aveva visto il sospetto, e poi la certezza, crescere nella tenera curva delle sue labbra e nella luce strana che lo sguardo di lei aveva assunto. Clara non aveva detto parola. — Signora Manz — aveva infine osato lui, — vorrei che mi permettesse di parlarle. Nel parco che c’è vicino a casa sua. Ed era stato il goffo imbarazzo del suo tono a dargli, per la prima volta, la gioia di sentire la risata di Clara. Una risata calda, franca, che l’aveva confuso come se d’un tratto si fosse trovato in mezzo a uno stormo di farfalle. — Perché nel parco? Non vuole venire a casa mia per paura che mio marito possa sorprenderci insieme? Bill era stato messo subito a suo agio da quella battuta, e ancor più dal fatto che Clara sapeva chi era e non si tirava indietro da una situazione anomala e sconcertante. Ma letteralmente, l’unica persona al mondo che non avrebbe potuto sorprenderli insieme, come dicevano gli antichi, era il suo ipoego Conrad Manz. Bill finì di ritoccarsi il make-up e s’avvio in fretta alla porta. Ma stavolta, mentre il suo sguardo tornava alla poco allegra cenetta di Mary, decise di scriverle qualcosa tanto per informarla che non s’era dimenticato di lei. La nota che lasciò sul tavolo diceva che usciva per un lavoro urgente alla biblioteca in cui lavorava. Stava per andarsene quando il visifono squillò. E lui fu così distratto da premere il pulsante di ascolto prima di riflettere. Soltanto con un drammatico attimo di ritardo la sua mano si raggelò, mentre le implicazioni di quell’atto lo facevano rabbrividire di spavento: a quell’ora, e per un’ora ancora, lui non avrebbe dovuto essere di turno. Ma la faccia che comparve sullo schermo non era quella di un sorvegliante medico. La donna si presentò come la signora Harris, una delle insegnanti di Mary. Strano che la Harris avesse pensato di poterlo trovare a casa. Il turno di ego-rotazione dei bambini era anticipato di mezza giornata rispetto a quello degli adulti, in modo che i genitori avessero il resto del giorno libero. Quel pomeriggio era stato per Mary il primo giorno scolastico del suo turno, ma l’insegnante doveva aver intuito che nello schema di ego-rotazione della sua famiglia qualcosa non andava. O era stata Mary stessa a dirglielo? La signora Harris gli spiegò con accenti drammatici che Mary si sentiva trascurata. Cos’avrebbe potuto dirle? Che era un criminale e che ignorava le droghe nel modo più flagrante? Che per lui nessuno, neppure la figlia, contava quanto la moglie del suo ipoego? Bill riabbassò l’interruttore mettendo fine a quella conversazione inutile e forse anche pericolosa, e uscì di casa. Capiva adesso che per lui e Clara i momenti migliori erano stati i primi che avevano trascorso insieme. Il timore snervante della Sorveglianza Medica annichiliva il piacere che traevano dal reciproco contatto, ed ora si cercavano quasi per disperazione perché dopo avere assaporato l’inebriante anticonformismo di quell’intimità senza droghe per loro non esisteva nient’altro. Anche in quel momento, guidando nel traffico verso il luogo dove lei era solita aspettarlo, a preoccuparlo non era tanto il pensiero d’incontrare Clara in un presente ormai avvelenato dalla paura quanto il ricordo di ciò che erano stati i loro appuntamenti passati. Gli tornò a mente la sera d’estate in cui s’erano sdraiati sull’erba del parco a contare le stelle che comparivano nel cielo ancora chiaro. Era stato nel periodo in cui Clara aveva cominciato a imitarlo nel prendere sempre meno droghe, e il nitido ricordo dei suoi sorrisi spensierati gli strinse il cuore al punto che per poco non tamponò un’altra auto pubblica. Con l’immaginazione tornò a baciarla come aveva fatto allora, mentre l’odore dell’erba appena tagliata si mescolava all’eccitante profumo della sua pelle. Dopo il bacio avevano ripreso la discussione scherzosa che stavano facendo su quell’antica parola: peccato. Bill aveva cercato di spiegargliene il significato in modo buffo, talora con definizioni che li facevano ridere entrambi talaltra con l’esempio, smorzando le risate di lei con la sua bocca. Gli sembrò di rivedere il modo in cui lei s’era poi voltata a fissarlo, parodiando un pruriginoso interesse. — Capisci che roba? — le aveva detto. — Secondo gli antichi noi non potremmo essere peccatori, perché nessuno di loro ammetterebbe mai che tu ed Helen siete due persone diverse, o che io e Conrad non siamo lo stesso individuo. Clara l’aveva baciato in modo diverso, sperimentale. — Mmmh! No, non sarei d’accordo con la loro interpretazione. — Dunque preferisci essere una peccatrice? — Definitivamente sì. — Be’, se gli antichi fossero d’accordò con la Sorveglianza Medica che noi siamo diversi dai nostri alter-ego, Helen e Conrad, anch’essi direbbero che viviamo nel peccato… ma non per la stessa ragione. — È qui che continuo a confondermi — aveva dichiarato Clara. — Se questa faccenda del peccato ha un qualche pregio, deve pur essere qualcosa che uno possa identificare chiaramente. Bill uscì dalla corrente principale del traffico e svoltò verso il parco, senza interrompere quel flusso di ricordi. — Be’, tesoro — aveva detto, — non voglio confonderti. Ma la Sorveglianza Medica direbbe che siamo peccatori solo perché tu sei l’ipoego di mia moglie e io l’iperego di tuo marito… in altre parole proprio per la ragione che gli antichi userebbero per affermare che non siamo peccatori. Se invece tu ed io facessimo l’amore con chiunque altro, la Sorveglianza Medica ci darebbe la sua benedizione, e così Conrad e Helen. A patto, naturalmente, che io mi mettessi con una iperego e tu solo con un ipoego. — Naturalmente — aveva detto Clara, e lui aveva ignorato il suo sospiro malinconico. — Gli antichi, d’altra parte, direbbero che facciamo all’amore in modo peccaminoso perché non siamo sposati fra noi. — E che c’è di male in questo? Tutti lo fanno. — Gli antichi Moderni non lo facevano. Ovvero, talvolta lo facevano, però… Clara gli aveva mordicchiato un labbro. — Caro, credo proprio che l’idea degli antichi Moderni fosse buona; anche se non capisco come ci fossero arrivati. Bill aveva sogghignato: — Era solo una delle loro invenzioni, come la ruota e l’energia atomica. Il tramonto era passato da un pezzo quando Bill fermò la piccola auto pubblica presso il parco e la lasciò lì per chi altro avrebbe voluto usarla. Poi s’incamminò sul prato verso la statua sotto la quale lui e Clara erano soliti incontrarsi. Il solo pensiero d’entrare nella casa del suo ipoego gli riusciva ancora così intollerabile che dopo il primo appuntamento gli sembrava d’essere libero soltanto lì nel parco. Ma procedendo fra gli alberi non fu capace di trovare nulla dell’atmosfera che avevano respirato in quelle sere lontane. La Sorveglianza Medica incombeva su di loro: impossibile ormai riderci sopra. Quando Bill arrivò sotto la statua Clara non c’era. Impaziente si aggirò avanti e indietro, mentre fra i rami degli alberi annosi si coaugulavano gli ultimi lividi grigiori del crepuscolo. Clara avrebbe dovuto essere lì da un pezzo. La cosa era più facile per lei, visto che quello era il suo turno e non aveva necessità d’anticipare la rotazione. Appartato dalla confusione del traffico serale, il parco era un’oasi d’oscurità e di quiete al centro della città. Ma le luci dei viali facevano sentire Bill esposto e vulnerabile. E soprattutto provava un nuovo genere di solitudine, un brivido freddo che, ne era certo, colpiva anche Clara. E più che mai, ora che la paura li faceva sentire disperati e in pericolo, avevano bisogno l’uno dell’altra. Nessuno dei due prendeva le droghe obbligatorie: un reato per cui sarebbero stati terribilmente puniti. Era questo l’imperdonabile supremo peccato del loro mondo. E nel compiere un atto che aveva mostrato loro cosa poteva essere la vera vita, avevano corso il rischio di perderla del tutto. Le emozioni forti che avevano scoperto in abbondanza semplicemente rifiutando le droghe erano divenute ancor più intense nei loro brevi incontri quando, a intervalli di cinque giorni, assaporavano il pericolo rompendo tutte le convenzioni. E più aumentava la terribile consapevolezza che sarebbero stati smascherati, più avevano bisogno anche della loro stessa paura, del brivido che li teneva in vita. Ma la dolcezza dei loro primi incontri era un’emozione che non esisteva più. Un volatile notturno telegrafò i suoi pigolii attraversando il fosco pallore del cielo verso la statua, e svolazzò qua e là intorno al basamento. I suoi versi raddoppiarono d’intensità e poi tacquero, mentre evitava Bill con una spericolata deviazione. Dopo un poco, dall’altra parte del parco gli indirizzò uno squittio di protesta. La statua che torreggiava su Bill era quella del grande Alfred Morris, nera contro il firmamento. I vuoti occhi di granito abbassavano verso di lui uno sguardo tenebroso e indecifrabile… l’antica e implacabile faccia della Sorveglianza Medica. Come a sottolineare una sentenza che gli arrivava da secoli di distanza, l’ombra di un ramo fronzuto danzava sulla targa metallica da cui un lontano lampione strappava riflessi aurei. In questo luogo, nell’anno gregoriano 1996, Alfred Morris annunciò a coloro che erano sopravvissuti alla guerra la scoperta del Talamblok. Le sue parole furono: «La nuova droga blocca all’altezza del talamo gli stimoli inconsci in entrata e le motivazioni inconscie in uscite. Agisce come uno schermo fra il cervello ed il meccanismo di catarsi psicosomatica. Usando il Talamblok noi non agiremo più emotivamente: le nostre azioni saranno soltanto la risposta logica alle necessità della situazione». Questo annuncio e la successiva marcia armata dei Sostenitori della Pace condussero all’uso obbligatorio del Talamblok. Esso mise termine al terribile potere nocivo dell’Inconscio sulle azioni pubbliche e private del mondo antico. Le grandi guerre paranoiche ebbero così termine, e l’umanità fu salva. Negli strani giochi d’ombra dei lampioni quelle lettere sembravano prendere vita: una condanna vecchia di secoli ma sempre pronta ad abbattersi su coloro che avessero voluto riportare il mondo agli antichi giorni pre-droghe. Ma naturalmente tornare indietro era impossibile: senza le droghe, gli individui e l’intera società sarebbero andati in pezzi. Gli antichi avevano dapprima imparato a tenere in vita chi, come i diabetici, aveva un’anomala attività endocrina. Più tardi avevano scoperto altre droghe con cui curare la malattia più comune, la schizofrenia, che stava riempiendo i loro ospedali. Il vero mutamento era però avvenuto quando avevano usato quelle stesse droghe su tutti, per mettere freno al comportamento irrazionale pubblico e privato dei loro tempi ed eliminare le guerre. In quel mondo nuovo lo schizofrenico aveva dunque cominciato a vivere meglio, finché la società s’era regolata del tutto sulle sue necessità. Ma, così come il diabetico restava sempre un diabetico, lo schizofrenico era sempre uno schizofrenico, più le sue droghe. E pian piano tutti avevano dimenticato che le sostanze chimiche avevano anche un altro effetto: le esperienze emozionali erano blande e annacquate, e la consapevolezza di sé esisteva solo a livello razionale, perché nessuno provava più vere sensazioni viscerali e brucianti. Quanto sarebbe stato inconcepibile, per Helen e l’altra gente di quel mondo, dare un taglio alle droghe… sperimentare i conflitti emotivi, le battaglie fra la passione e la logica che spezzavano l’anima di un individuo! Sobrietà, la chiamavano gli antichi, e anch’essi vìvevano sobri per la più parte del tempo, lasciandosi occasionalmente andare agli stordimenti dell’alcol o dei narcotici per attenuare le loro croniche angosce. Riducendo al minimo le loro dosi di Talamblok lui e Clara riuscivano a desiderare il loro fantastico rapporto, a goderselo anche, in una situazione del tutto illogica mai sperimentata nella loro società. Ma la società avrebbe condannato il loro rifiuto del Talamblok in ogni senso. E quale peso avrebbe assunto quella condanna lui poteva leggerlo dietro quella frase: Le grandi guerre paranoiche ebbero così termine, e l’umanità fu salva. Quando finalmente vide Clara, la giovane donna si stava guardando attorno con aria un po’ stordita sull’altro lato della statua. Non la chiamò subito, lasciando che la vista di lei placasse le tensioni e i conflitti che lo attanagliavano. L’incertezza del suo procedere, il modo in cui lo cercava con lo sguardo avanzando come una tragica bambola su un palcoscenico di tenebra ostile avevano qualcosa di toccante. D’improvviso Bill capì cos’erano lui e Clara: due marionette. Appesi ai fili della loro nuova vita emozionale correvano qua e là, sbattendo contro le quinte di un palcoscenico spietato e senza fuga, finché non sarebbe rimasto loro altro che abbattersi al suolo e tornare a essere inerti pezzi di legno e stoffa. Poi all’improvviso Clara fu tra le sue braccia, desiderosa di baci e allo stesso tempo tesa nel timore che qualcuno li scoprisse. Piccoli mugolii d’amore, di sollievo, d’angoscia le uscivano dalla gola. La sua testa bionda gli si premette con forza su una spalla quando lo abbracciò tremante e disperata. — Questa mattina — disse, — Conrad si è seccato nel vedermi sconvolta, e mi ha costretto a prendere la Soporina. Mi sono appena svegliata. S’incamminarono verso la casa di lei in silenzio, ed anche quando furono nell’appartamento non si scambiarono che monosillabi, occhiate e brevi carezze. Al di là di quei cenni che bastavano per capirsi, già da tempo s’erano detto tutto ciò che poteva esser detto fra loro. Essendo un iperego, Bill non aveva paura che Conrad!o forzasse a una rotazione prematura. Più tardi, quando giacquero accanto al buio, si concesse un po’ di sonno. Senza la Soporina, eventi distorti si agitavano irrazionalmente dentro di lui. Sognare, era la parola usata dagli antichi. Era una delle cose che lo avevano spaventato di più dal giorno in cui aveva cominciato a diminuire le dosi di droga. In quei pochi minuti di sonno si mescolarono centinaia di frammenti fatti di esperienze casuali, di cose che aveva letto e di desideri inespressi. E in strano contrasto con la pace di quel mondo unificato, le sue reminiscenze storiche lo portarono a sognare un terribile momento che faceva parte del XX Secolo. Queste sono le grandi guerre paranoiche, pensò. E così fu, perché lo aveva pensato. Frenticamente rovistò nello scompartimento dei guanti di un’antica automobile. — Aspetti! — supplicò. — Le dico che abbiamo del sulfamide-14. L’abbiamo preso regolarmente secondo gli ordini. A Patterson ne abbiamo preso una doppia dose, perché c’erano state esplosioni atomiche in tutta quella zona del Jersey, e non sapevamo quale area sarebbe stata dichiarata contaminata. Bill spalancò la borsa e cominciò a rovesciare oggetti sul pavimento e sul sedile dell’auto, ansimando, alla luce della torcia elettrica impugnata da Clara. Il cuore gli tambureggiava per il terrore. Poi si ricordò dei loro medibox; annaspò con le mani intorno alla cintura. Il capitano della Sorveglianza Medica si scostò dal finestrino della macchina. Con un cenno del capo fece avvicinare il caporale che attendeva davanti al posto di blocco. — Sparate a questi due e rovesciate l’auto fuori strada prima di bruciarla. Attraverso la maschera antiradiazioni Bill emise un grido acuto. — Aspetti! L’ho trovato! — Allungò un braccio fuori dal finestrino con il medibox in mano. — Questo è un medibox — spiegò. — È qui dentro che teniamo le nostre droghe, e lo portiamo alla cintura per averle sempre con noi. Il capitano della Sorveglianza Medica tornò ad avvicinarsi. Ispezionò il medibox e le droghe, poi lo restituì. — Da ora in avanti tenete le vostre droghe a portata di mano. Prendetele ogni volta, secondo le istruzioni che verranno date per radio. Capito? Clara gli appoggiò pesantemente la testa a una spalla, e Bill sentì i singhiozzi disperati che uscivano dal filtro della sua maschera. Il capitano non abbassò la pistola. — Dobbiamo bruciare la vostra macchina. Siete passati da una zona contaminata e non possiamo sterilizzarla qui in strada. A un miglio da qui troverete un’unità per la sterilizzazione. Fermatevi e sarete passati ai raggi insieme ai vostri oggetti personali. Dopo continuerete a piedi, ma senza uscire dai bordi della strada; se farete un passo fuori strada vi verrà sparato a vista. Il nastro d’asfalto era gremito di gente in fuga. La notte era illuminata dai roghi dei cadaveri, a mucchi, cosparsi di benzina. Dappertutto c’erano militi della Sorveglianza Medica. I fuggiaschi che barcollavano, quelli che tossivano, quelli che deliravano, quelli che sostenevano la loro compagna… tutti costoro erano portati fuori strada, uccisi con un colpo alla nuca e bruciati. E a sud si vedevano i bagliori di un altro bombardamento. Bill si fermò in mezzo alla strada e guardò indietro; Clara gli si aggrappò a una spalla. — Qui c’è un tipo di contaminazione per cui non abbiamo droghe — disse, e s’accorse che stava piangendo. — Siamo tutti pazzi. Anche Clara piangeva. — Oh, caro! Cos’hai fatto? Dove sono le droghe? L’acqua dell’Hudson continuava a evaporare in cristalli di ghiaccio che si alzavano fin nella stratosfera, e quel lenzuolo di corpuscoli scintillava riflettendo i lampi delle lontane esplosioni atomiche. Ma il brontolio di quel bombardamento si trasformò in una nota acuta… era il segnale di una chiamata urgente sul visifono della camera da letto, e Bill si risvegliò con un sussulto. Clara s’era avvolta nella vestaglia e nell’incamminarsi verso l’apparecchio era rigida per l’apprensione. Con un movimento rapido Bill si alzò e andò a nascondersi in un angolo della stanza per togliersi dal campo visivo delle lenti. Dal visifono uscì una voce fredda e controllata: — Clara Manz? — Sì. — Quella di Clara non salì in una nota allarmata solo perché strinse i denti. — Qui è la direzione della Sorveglianza Medica. Un controllo di routine ci ha rivelato che lei sta prolungando di due ore il suo turno di ego-rotazione. È un periodo di tempo superiore a quelli medi nella statistica dei casi di deviazioni. La prego di darmi una spiegazione esauriente. — Io… — Clara dovette deglutire un groppo di saliva per poter continuare. — Penso di aver preso un dose eccessiva di Soporina. — Signora Manz, le nostre registrazioni indicano che lei ha già ritardato di alcune ore l’ego-rotazione in numerosi altri turni. Abbiamo fatto su questo un controllo di routine, ma la scoperta è abbastanza grave. — Ci fu un silenzio teso, un silenzio che esigeva una risposta razionale. Ma come avrebbe potuto esserci una risposta razionale? — La mia iperego non si è lamentata, e io… be’, io ho lasciato che una cattiva abitudine mi prendesse un po’ la mano. Capisco che… ma questo non accadrà più. La voce snocciolò gelidamente una piatta ramanzina circa le responsabilità che una personalità aveva verso l’altra e sui doveri dei cittadini prima che Clara potesse spegnere il visifono. Entrambi restarono seduti dov’erano senza dire parola, a lungo, finché l’onda di terrore che li aveva sommersi non cominciò a ritrarsi. E quando si guardarono, dai due lati opposti della camera oscura e silenziosa, sapevano entrambi che restava loro soltanto un’altra occasione di vedersi prima che la Sorveglianza Medica li prendesse. * * * Cinque giorni dopo, l’ultimo giorno del suo turno di ego-rotazione, Mary Walden prese una matita indelebile e sotto l’ascella sinistra si scrisse l’indirizzo di Conrad Manz, l’ipoego del suo padre-assegnato. Per tutto il mattino suo padre e sua madre avevano litigato, rovinando il giorno di riposo della famiglia. Il motivo era stato il ritardo con cui la ipoego di Helen continuava a effettuare l’ego-rotazione. Suo padre non la riteneva una cosa importante, ma sua madre si era irritata e aveva minacciato di lamentarsi con la Sorveglianza Medica. Durante il pranzo non aprirono bocca, salvo che a un certo punto quando Bill disse: — Mi sembra che siano Conrad e Clara Manz i responsabili di un matrimonio anomalo, e non noi. Tuttavia loro ne sembrano perfettamente soddisfatti; la sola che si lamenta sei tu. Se questa donna ha preso l’abitudine di usare troppa Soporina per il pisolino che fa nel suo giorno di riposo, perché non le lasci un appunto? La replica di Helen fu una sola. Le sibilò fra i denti in un sussurro teso: — Bill, vorrei soltanto che la bambina non avesse idea della sordida situazione in cui hai coinvolto anche lei. Mary s’irrigidì a quella frase, incredula che la madre potesse ignorare sia la sua presenza, sia la possibilità che lei capisse, sia i suoi sentimenti nel vedersi tagliata fuori a quel modo dalla discussione. Dopo pranzo Mary sparecchiò la tavola gettando i resti del cibo e i piatti di carta nell’inceneritore di rifiuti. Suo padre s’era chiuso in biblioteca, ed Helen si stava vestendo per recarsi all’Assemblea Cittadina. La sentì tornare in cucina, per salutarla, mentre era occupata a lavare la tavola. Ma pur sapendo che Helen era alle sue spalle, ben vestita e impaziente di uscire, finse di non essersi accorta di lei. — Cara, io vado all’Assemblea Cittadina. — Eh? Oh… sì. — Fai la brava bambina, e non ritardare la tua ego-rotazione. Hai soltanto un’ora prima che il tuo turno scada. — Il volto un po’ altero di Helen si addolcì in un sorriso. — Sì, sarò puntuale. — E non badare troppo alle cose che io e tuo padre abbiamo discusso questa mattina. Vuoi? — Certo. La donna uscì. Non era passata a salutare Bill. Mary era acutamente conscia della presenza di suo padre che non s’era mosso dalla biblioteca. Passò in punta di piedi davanti alla porta e lo vide seduto su una sedia, con lo sguardo fisso sul pavimento. La ragazzina rimase in soggiorno, immobile presso la finestra e con gli occhi tesi: se lui si fosse alzato, se avesse voltato una pagina, se avesse sospirato, avrebbe potuto sentirlo. Ma non udì niente. S’avvicinava il momento in cui avrebbe dovuto lasciare il corpo se voleva che Susan Shorrs arrivasse in tempo alla prima ora di scuola del suo turno. Perché i bambini dovevano fare l’ego-rotazione con mezza giornata di anticipo sugli adulti? Finalmente Mary riuscì a pensare a qualcosa da dire. Doveva fargli sapere che era abbastanza grande da capire il motivo del loro litigio, se soltanto lui glielo avesse spiegato. Mary entrò in biblioteca e con aria esitante sedette sul bordo di una poltrona accanto a lui. Il padre non alzò lo sguardo. Anche nella luce piena del giorno il suo volto appariva grigio. In quel momento Mary capì che anche lui era solo e ne fu commossa. — Qualche volta penso che tu e Clara Manz — disse d’un tratto — siate gli unici a non essere così scioccamente puntigliosi su questa storia di dover fare la rotazione proprio all’ora obbligatoria. Be’, a me non importa se Susan Shorrs va a scuola anche con un’ora di ritardo! Lui se la prese sulle ginocchia e per qualche istante il cuore di Mary batté così forte che le parve di sentirselo andare in pezzi. Fu come se avesse pronunciato una formula magica, un incantesimo che le avesse aperto la porta del suo amore. Ma soltanto dopo che lui le ebbe spiegato perché rincasava sempre tardi il primo giorno del loro turno di famiglia, Mary capì che qualcosa di grave stava succedendo. Bill le disse e le ripeté che sapeva di renderla infelice, e che questo lo faceva sentire in colpa. Ma nello stesso tempo le accarezzava!a testa e scrutava nei suoi occhi come se avesse paura di lei. Mentre il padre parlava, Mary cominciò a leggere nei tremiti del suo corpo, nelle sue mani sudate, nei suoi occhi supplichevoli la paura della morte. La paura che lei potesse ucciderlo dicendo o facendo qualcosa di sbagliato, o forse con il semplice fatto che lei esisteva. Ma non fu questo ad addolorare Mary, perché all’improvviso qualcosa era piombato come un macigno su ogni altro suo pensiero: vorrei soltanto che la bambina non avesse idea della sordida situazione in cui hai coinvolto anche lei. Coinvolta. Doveva dunque esserci qualcosa che la coinvolgeva con Conrad e Clara Manz, visto che erano loro l’oggetto della discussione. Quando poco dopo suo padre uscì di casa, Mary andò alla scrivania di lui e tirò fuori i documenti di famiglia. Appena ebbe trovato l’indirizzo di Conrad Manz le venne l’idea di annotarlo sul suo stesso corpo. E poiché era sicura che Susan Shorrs non si lavava mai, quello le parve un lampo di genio: a un’ora qualsiasi del giorno di riposo di Susan, ovvero di lì a cinque giorni, l’avrebbe costretta a un’ego-rotazione anticipata e sarebbe andata a trovare Conrad e Clara Manz. Il suo piano era tanto semplice nell’esecuzione quanto vago negli obiettivi che si prefiggeva di ottenere. Mary era già in ritardo quando arrivò al reparto per i bambini di una stazione pubblica per l’ego-rotazione. All’esterno era in attesa un autobus scolastico, e prenotò un passaggio per la scuola a nome di Susan Shorrs. Poi trovò un gabinetto libero e lo aprì con il suo bracciale d’identità. Indossò uno dei costumi appositi e impacchettò il vestito e gli oggetti personali spedendoli a casa sua. I ragazzini della sua età non mettevano il trucco, ma Mary aveva l’abitudine di guardarsi allo specchio fino all’ultimo istante del suo turno. Cercava sempre, con tutte le sue forze, di vedere quale fosse l’aspetto di Susan Shorrs. A lato dello specchio qualcuno aveva scribacchiato due versi che le strapparono una risatina: Datti il trucco ai capelli, pettinati il viso, e lascia che il tuo alter-ego veda il tuo sorriso. … e poi ci fu l’ego-rotazione, con un brivido che mai l’aveva sconvolta tanto perché si rendeva conto di quel che stava per fare. * * * Se qualcuno era un iperego, come Mary, si dava per certo che avesse la cognizione dello scorrere del tempo anche quand’era fuori turno. Ovviamente non sapeva nulla di ciò che gli accadeva attorno, ma dentro di lui una sorta di orologio biologico continuava a ticchettare. L’errore di Mary fu dunque marchiano, perché quando forzò l’ego-rotazione e riprese possesso del corpo scoprì, sbigottita, di trovarsi a sedere in classe durante l’ora della signora Harris e non già nel campo giochi dove aveva previsto di sorprendere Susan. Mary ebbe un fremito di terrore. E trovarsi addosso il vestitaccio scialbo che Susan indossava per andare a scuola accentuò la stranezza della situazione in cui s’era cacciata anticipando troppo la rotazione: una situazione grave quanto pericolosa. In genere si pensava che nei bambini la differenza fra l’ipoego e l’iperego fosse scarsa, ma quando rialzò lo sguardo il suo spavento crebbe. I ragazzi cambiavano. Le riuscì difficilissimo riconoscere qualcuno dei presenti, benché la maggior parte di loro fossero gli alter-ego dei suoi vecchi compagni di classe. La signora Harris era del turno B, che si sovrapponeva a quelli di Mary e di Susan, ma di tutti gli altri la ragazzina identificò con certezza soltanto l’ipoego di Carl Blair grazie alle sue lentiggini. Mary era sicura che se non se ne fosse andata quanto prima la signora Harris l’avrebbe riconosciuta. Se avesse lasciato l’aula con la necessaria naturalezza la donna non avrebbe avuto sospetti. Comunque era inutile cercar d’immaginare il modo di camminare di Susan. Alzò due dita. Con un cenno del capo l’insegnante le diede il permesso di andare al gabinetto, e la ragazzina uscì dal banco. Ma solo quando poté chiudere la porta dietro di sé smise di sentirsi lo sguardo della signora Harris ficcato nella schiena come un trapano. Non riuscì a rilassarsi molto: la paura le faceva vedere il mondo della sua ipoego come un mondo completamente diverso. Fu una camminata lunga quella che portò Mary attraverso tutta la città fino all’indirizzo che si era segnato. Suonò il campanello, e quando la porta si aprì ebbe la sorpresa di vedersi aprire da Conrad Manz, già rientrato dal lavoro. Un’altra cosa la sorpresa: allorché l’uomo sorrise lei scoprì di amarlo all’istante. — Ebbene, che cosa desideri, signorina? — chiese Conrad. Mary non poté rispondere; riuscì soltanto a restituirgli il sorriso. — Come ti chiami? Abiti da queste parti? Sorridere era più difficile; Mary deglutì un groppo di saliva. D’un tratto l’uomo sbarrò gli occhi con stupore e arrossì. — Ehi! Ehi! Via… sono certo che non c’è nessun bisogno di piangere, piccola. Coraggio, entra e vediamo un po’ cosa possiamo fare per aiutarti. Clara! Abbiamo visite: una signorinella un tantino… emozionata. Mary lasciò che un braccio robusto di lui le circondasse le spalle e la conducesse, piangente, nell’elegante appartamento. Poi vide Clara venire verso di lei con aria premurosa che… no, quel sorriso dolce e premuroso non apparteneva affatto a sua madre: era diversa. — Adesso sentiamo un po’, piccola. Va meglio? Cos’è che ti ha portata qui? — domandò Conrad appena lei ebbe smesso di piangere. Mary dovette abbassare lo sguardo davanti al suo, e dirlo le costò uno sforzo: — Io voglio… vivere con voi. Clara torse nervosamente fra le dita il fazzoletto bagnato di lacrime. — Ma piccola, noi abbiamo già avuto il nostro primo figlio-assegnato. Ce lo consegneranno il prossimo turno. E dopo io dovrò partorire un bambino che sarà assegnato a qualcun altro e… non ci darebbero mai il permesso di prenderci cura di te. — Io ho pensato che forse potrei essere tua figlia. La tua vera figlia, voglio dire — mormorò Mary disperata, già sapendo quale sarebbe stata la risposta. — Cara — disse dolcemente Clara, — i bambini non vivono con i loro genitori naturali. Non è pratico, e non è da persone civili. Io ho avuto una bambina, concepita e poi nata durante il mio turno, ma tu sei già troppo grande per poter essere stata partorita da me. Chiunque siano i tuoi genitori naturali, questo è un dato che appare soltanto negli archivi della Sorveglianza Medica e non ha molta importanza. — Ma voi siete un caso speciale — insisté Mary. — E a causa della famiglia particolare a cui mi hanno assegnata io credevo che i miei veri genitori foste voi. — Rialzò lo sguardo e vide che Clara si era sbiancata in viso. Anche Conrad Manz era piuttosto agitato, adesso. — Cosa vuoi dire con il fatto che siamo un caso speciale? — la interrogò seccamente. — Ecco, voi… — E solo in quell’istante Mary si rese conto di quanto speciale fosse quel caso, e di come essi fossero sensibili riguardo al loro matrimonio. Lui la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo in faccia, fissandola con durezza. — Ti ho chiesto perché noi saremmo un caso speciale! Clara, per tutte le teste che non ho, cosa sta dicendo questa ragazzina? La stretta dell’uomo le faceva male e Mary ricominciò a piangere. Se ne liberò, indietreggiando di scatto. — Voi siete gli ipoego dei miei genitori-assegnati, di mio padre e di mia madre. È per questo che ho pensato che potrei essere la vostra vera figlia… e che voi voleste tenermi qui. Io non voglio stare là con loro; io voglio qualcuno che… Clara fu d’un tratto calma, libera da quell’improvvisa paura. — Ma cara, se coi tuoi sei infelice, soltanto la Sorveglianza Medica può assegnarti a qualcun altro. D’altra parte, può darsi che i tuoi genitori-assegnati abbiano dei problemi personali in questo momento. Forse, se cercassi di capirli, scopriresti che in realtà ti vogliono bene. L’espressione di Conrad era invece quella di chi si rifiuta fermamente di capire. Quando parlò lo fece con gelida calma, gli occhi fissi in quelli di Mary. — Che cosa stai facendo qui? La figlia del mio iperego… in casa mia! E hai il coraggio di dire che vorresti vivere con me e con l’ipoego di tua madre! Smarrita, Mary ebbe l’impressione che la terra le tremasse sotto i piedi. Negli occhi aveva soltanto quelle due facce che la fissavano immobili, silenziose, come congelate nelle sue lacrime mentre indietreggiava ciecamente fino alla porta. Poi volse loro le spalle e corse fuori, in quel mondo che le crollava attorno. * * * Il giorno di riposo di Conrad Manz fu quello successivo al pomeriggio in cui la figlia di Bill Walden era venuta a casa sua. Dieci giorni, dunque, da quando quella seccante riunione al municipio di Santa Fé gli aveva mandato a monte l’occasione di una buona gara di volojet. Stavolta, stabilendo che la gente con cui lavorava era propensa a indire riunioni d’emergenza nella mattinata, aveva iscritto il suo nome a una gara pomeridiana. La visita di Mary Walden continuava a metterlo sottosopra ogni volta che ci ripensava, ma poiché quello era il suo giorno di riposo si era ripromesso di non pensarci, e la psiche scrupolosamente drogata di Conrad era capacissima di mantenere quell’impegno. Cosi, seduto nella piacevole frescura del salone del Volojet Club, Conrad sorseggiò il suo drink tranquillamente e senza curarsi di dare il minimo contributo alla conversazione che languiva attorno a lui. — Guardiamola a questo modo — disse malinconicamente Albert, un pilota inglese la cui faccia era in sintonia con la voce. — Occorrono circa 10.000 unità di credito per sollevare un velivolo di 40 tonnellate fino all’altezza del satellite e fargli girare sei volte il percorso di gara. Per noi questa è una spesa abituale. D’altra parte, un intellettualoide che buttasse via tutti i suoi giorni di riposo in una biblioteca a scartabellare microfilm non spenderebbe 1.000 unità di credito in un anno intero. Anzi, potrebbe dimostrare che per lui quest’attività si risolve in un guadagno. Il Ministero dell’Economia non viene a dirci che il tempo libero deve risolversi in un guadagno. Però dice che le gare di volojet costano più unità di credito di quante molti piloti ne guadagnano nei loro giorni lavorativi. Secondo me il giorno in cui quelli decideranno di mettere al bando il volojet non è lontano. — Proprio così — intervenne un altro pilota. — C’è stato un tempo in cui potevate dimostrare che le gare di volojet erano utili per la progettazione di astronavi migliori. Ma miglioramenti tecnici non ce ne sono più da decenni. Dal loro punto di vista noi non facciamo che bruciare risorse allo stesso ritmo con cui altri le creano. E far notare che ricaviamo introiti dalla televisione è ancora peggio: il Ministero può dimostrare che per trasmettere uno slalom di razzo-sci la televisione spende cento volte meno che per una gara di volojet. Conrad Manz sogghignò nel suo drink. Da qualche minuto si era accorto che la piccola e procace Angela, la moglie dagli occhi dolci e dalla voce rauca di Albert, stava cercando d’intercettare il suo sguardo. Ma da li a un quarto d’ora i ragazzi della rampa avrebbero avuto un jet pronto per lui. E per quanto Angela gli piacesse, non intendeva lasciar perdere la gara per dedicarsi a lei. Tuttavia permise al suo sorriso di allargarsi, e quando lo sguardo di Angela s’incrociò di nuovo con il suo le rivolse un malizioso cenno di complicità. La donna interpretò quel segnale proprio nel modo da lui previsto. Bene, pensò, se non altro le avrebbe offerto il modo di sganciarsi da una conversazione noiosa. Si alzò e quando le fu accanto la prese per mano. Lei non esitò a baciarlo, aprendo le labbra procaci contro le sue. Conrad si volse ad Albert, che stava parlando, e lo toccò su una spalla. — Angela e io vorremmo trascorrere un po’ di tempo insieme se non ti secca. Ciò che seccava Albert era d’essere stato interrotto a metà del discorso, ma esibì una doverosa cortesia. — Naturalmente, fate pure. Sono lieto che vi troviate bene insieme. Conrad elargì al gruppetto un sorriso inespressivo. — Voialtri ragazzi non avete mai provato un razzo-sci? C’è più eccitazione genuina in dieci minuti di quella roba che in un’ora di volojet. Personalmente non m’importerebbe niente se il Ministero proibisse i jet. Non farei che filarmela sulle Montagne Rocciose, il mio giorno di riposo. Conrad sapeva perfettamente che, se avesse detto una cosa del genere prima di chiedere il permesso ad Albert, lui avrebbe trovato una scusa per non lasciargli portare via sua moglie. Tutte le facce presenti mostrarono lo sdegno dei veri appassionati per uno che improvvisamente si rivelava un voltagabbana. Chi diavolo credevano d’essere, pensò, un antico ordine di nobili cavalieri? Conrad prese Angela sottobraccio e la condusse elegantemente via prima che Albert riuscisse a escogitare un motivo per trattenerla. Sul vialetto fuori dal salone del Club lei gli si strinse a una spalla con divertita ammirazione. — Sono felice che tu sia libero per me. Quell’Harold avrebbe parlato di jet fino a farmi venire le convulsioni. Conrad si piegò a baciarla, ma disse: — Angela, mi spiace ma in progetto non c’è la cosa che pensi. Ho un jet che mi aspetta fra pochi minuti. Lei si scostò, battendogli un pugno su una spalla: — Oh, Conrad Manz! Tu… e mi hai fatto credere di… Lui rise, attraendola a sé. — Avanti, tesoro! Io ti abbandono per volare in cielo, almeno, non per parlarne. E sai bene che quando ti faccio venire le convulsioni… non è con le chiacchiere. Dopo qualche istante lei non riuscì a trattenere la sua risatina un po’ roca e melodiosa. — Non sono la sola ad aver scoperto in te queste doti. Comunque, Clara e io abbiamo preso un drink insieme, dopo l’ultima Assemblea Cittadina. Le ho consigliato di tenerti chiuso a chiave in casa. Lui si accigliò, contrariato che il discorso fosse scivolato su quell’argomento. Un presentimento continuava a dirgli che in Clara c’era qualcosa che non andava, qualcosa di ancor peggiore del suo strano e preoccupante sognare di dieci giorni prima. Da parecchi turni di ego-rotazione era fredda con lui, e la causa non poteva essere una momentanea mancanza d’interesse per lui, perché si mostrava fredda anche con tutti gli uomini di loro conoscenza verso i quali era sempre stata espansiva. E in quanto a lui, era costretto a rivolgersi ad amiche occasionali come Angela. Non che questo fosse spiacevole, ma si dava per scontato che fra due coniugi vi fosse una regolare ed equilibrata vita sessuale, e quando questa s’interrompeva significava guai con la Sorveglianza Medica. Angela lo fissò: — Ora che ci ripenso, Clara non ha riso alla mia battuta di spirito. Forse fra voi c’è qualcosa che non va? — Oh, no — dichiarò lui, seccato. — Talvolta Clara è così… non afferra l’umorismo di certe battute. Un fattorino del Club li avvicinò mentre passeggiavano sulla rotonda e informò Conrad che il suo jet era pronto. — Scusami, Angela. Ma mi farò perdonare da te: è una promessa. — So che la manterrai, dolcezza. Be’, se non altro mi hai tirata fuori dal mare di noia in cui mi stavano facendo affogare, là dentro. — Angela si alzò in punta di piedi a dargli un bacetto, e poco dopo, mentre scompariva dietro la porta a vetri, si volse a salutarlo con un sorriso. * * * Sulla rampa Conrad trovò un altro pilota pronto a gareggiare con lui. Si accordarono su una scommessa doppia: una su chi sarebbe stato il primo a raggiungere il percorso di gara, e una su chi avrebbe tagliato il traguardo in testa al termine di sei giri sul tracciato aereo di forma esagonale. Al segnale i due possenti jet schizzarono verso l’alto, e Conrad salì su una colonna di fiamma con un’accelerazione che lo schiacciò nella poltroncina sagomata. Il decollo era la sua specialità e sapeva che avrebbe vinto quella prima parte della scommessa. Sul percorso, tuttavia, se il suo avversario si fosse dimostrato di media abilità, Conrad avrebbe probabilmente perso: a lui piaceva soprattutto fare evoluzioni spericolate, belle dal punto di vista spettacolare ma controproducenti per chi desiderava mantenere la testa fino al traguardo. Conrad tenne la propulsione al massimo fino all’ultimo secondo, poi accese di colpo i razzi di testa. Il jet vibrò in tutte le strutture per un centinaio di chilometri finché la brusca decelerazione non lo portò a fermarsi fra le boe aeree da segnalazione. L’altro pilota ansimò un’imprecazione quando Conrad gli gridò via radio: — Il vincitore ti saluta, amico! In gara, generalmente si presupponeva di dover usare il carburante per alimentare al massimo i razzi di spinta, e di accendere i razzi di frenata posti sul muso soltanto per correggere deviazioni di rotta. — Che intenzioni hai? — replicò l’avversario, accostandosi con una breve fiammata dei propulsori. — Vuoi bruciare tutto il carburante e poi tornare a terra con il paracadute? Il meccanismo automatico delle boe diede il segnale di partenza, e i due jet balzarono avanti per il primo giro, procedendo affiancati a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Al termine del primo percorso Conrad aveva già perso tre chilometri, esibendosi in curve troppo strette e veloci che subito dopo lo facevano deviare fuori dalla rotta ottimale. Quello di un jet che decelerava bruscamente sfiorando le boe era uno spettacolo emozionante. L’altro pilota eseguiva curve pulite da manuale, usando quasi soltanto i razzi di coda. Ma questo non dava molto brivido agli spettatori che avevano regolato la televisione sul canale dov’erano in corso le gare. A ogni giro Conrad perse un po’ di terreno, anche se ciò non risultava evidente dal punto di vista delle telecamere automatiche montate sulle boe, perché lui si divertiva a sfiorarle pericolosamente, ridacchiando fra sé al pensiero dell’eccitazione che stava fornendo ai telespettatori. Senza il benché minimo rammarico si accorse d’aver già perso la gara quando ancora mancavano due giri al termine. Si congratulò sportivamente con l’avversario e poi indugiò in quota, seguendo con lo sguardo l’altro velivolo che planava verso terra continuando a economizzare carburante. Per un poco Conrad girò intorno alle boe di partenza le cui telecamere lo stavano probabilmente inquadrando, e si esibì in una serie di manovre acrobatiche a bassa velocità. La zona in cui si trovava era molto all’esterno dell’atmosfera, ed a Conrad il gelido vuoto dello spazio non piaceva affatto. Il buio senza vita su cui si stagliavano gli sciami di stelle gli appariva ostile e repellente. Ciò che lo eccitava nel volojet erano il tempismo e l’autocontrollo necessari alla manovra, e anche il pensiero che stava facendo qualcosa che avrebbe spaventato a morte il povero vecchio Bill Walden. L’oscurità e il silenzio del firmamento stellato lo portarono a riflettere sui suoi problemi personali. C’era come un tarlo che lo rodeva: qualcosa in cui si mescolavano Clara, Bill Walden e la sua piagnucolosa figliola. Seccato da quell’intuizione così sfuggente diresse il velivolo verso terra, con una planata spettacolare che ridusse la sua già esigua scorta di carburante. Ora che si soffermava a pensarci, lo strano comportamento di Clara era cominciato circa nello stesso periodo in cui Bill aveva preso l’abitudine d’imbrogliare sull’inizio del proprio turno. Quella ragazzina, Mary, doveva aver saputo che stava accadendo qualcosa altrimenti non avrebbe osato piombargli in casa in quel modo disgustoso. Conrad aveva proseguito la picchiata fino a sentir sibilare l’aria intorno al jet, nella ionosfera. Sfruttando i pochi secondi che restavano tirò indietro la cloche e azionò i razzi frenanti, rallentando la velocità di discesa. Aveva appena cominciato a rimettersi in volo orizzontale quando due cose sconvolgenti accaddero insieme. D’improvviso Conrad capì (vuoi per un momentaneo contatto fra la sua mente e quella di Bill, vuoi per semplice deduzione) che Bill Walden e Clara condividevano un segreto. E nello stesso momento qualcosa parve afferrargli il cervello come una gelida mano estranea. Con una decelerazione di sette G che ancora lo inchiodava sulla poltroncina sagomata imprecò, a denti stretti: — Corpo di mille droghe! Cosa sta facendo quel maledetto pazzoide? Vuole ammazzarci entrambi? Conrad fece appena in tempo ad allungare una mano per inserire il pilota automatico, prima che Bill Walden s’impadronisse di lui costringendolo a un’ego-rotazione anticipata. Nell’ultimo istante di consapevolezza, ancora stordito dall’ira e dalla vergogna per ciò che aveva capito, ebbe il tempo di riflettere con amara ironia che non poteva neppure prendersi la soddisfazione di spegnere i motori per ammazzare Bill Walden. * * * Quando Bill Walden sentì il rombo dei razzi di frenata e si accorse della pressione che schiacciava il suo corpo nell’imbottitura del sedile, una fredda morsa di terrore gli attanagliò il cuore. Il suo spavento fu tale che non pensò neanche di rifare l’ego-rotazione per restituire il corpo a Conrad, posto che ce ne fosse stato il tempo. Malgrado il peso che gli comprimeva la nuca sul poggiatesta riuscì a voltarsi, e vide il terreno salire verso di lui come una mostruosa mazza che s’abbattesse sopra un insetto. Chiuso fra il panico e la squassante violenza della decelerazione perse conoscenza di colpo, senza neppure accorgersi che sui comandi si era accesa una scritta verde che gli prometteva salvezza: Pilota Automatico. Il velivolo si appoggiò da solo sulla rampa, in un sibilare di razzi che si spegnevano. Bill rinvenne pochi secondi dopo, ma scosso com’era non riuscì a far altro che restare seduto sulla poltroncina, a lungo. Quando infine riuscì a trovarne la forza si alzò, annaspò con mani tremanti e inesperte sul sistema d’apertura del portello, e vacillando scese sulla rampa intorno a cui aleggiavano ancora ondate d’aria surriscaldata. Il luogo distava oltre un chilometro dagli edifici del Volojet Club, visibili oltre una distesa di campi sterposi, e s’avviò a piedi in quella direzione. Ma non dovette camminare per molto perché un velicolo di servizio lo raggiunse quasi subito. Il conducente spalancò la portiera. — Ehi, Conrad, che diavolo è successo? Perché non sei atterrato sulla rampa degli hangar? Con il trucco di Conrad sulla faccia, Bill si disse che poteva giocare sull’equivoco. — I comandi non rispondevano bene — si limitò a spiegare con un gesto vago. Al Club, un posto che vedeva per la prima volta in vita sua, Bill trovò un elicottero pubblico e vi salì, accendendo il quadro con il bracciale d’identità. Un breve volo lo riportò in città, e scese nello spazio d’atterraggio più vicino a casa sua. Per lui quella era la fine, e lo sapeva. Conrad avrebbe fatto senza dubbio rapporto sull’accaduto. Non era stata sua intenzione forzare con tanto anticipo e con tanta violenza l’ego-rotazione. Forse, anzi, quella volta non avrebbe voluto forzarla affatto. Ma in lui era scattato qualcosa d’imprevisto e irresistibile… come se il bisogno di anticipare il turno per vedere Clara fosse diventato un istinto che agiva al di fuori della sua volontà e certamente al di fuori d’ogni ragionevole prudenza. Salito su un’auto pubblica s’avviò cautamente nel traffico cittadino, avanzando nei viali spaziosi fra gli alti edifici con l’incertezza di un principiante per cui le macchine non fossero un’estensione del proprio corpo. Anche parcheggiare in uno spazio libero gli riuscì difficoltoso. Clara non si sarebbe aspettata di vederlo così presto. Dal suo appartamento, non appena si fu rifatto il trucco, la chiamò con il visifono. Gli parve strano il modo in cui ormai si guardavano l’un l’altra, a lungo e con intensità, parlandosi più con gli occhi che a voce. Poco dopo riuscì a calmarsi del tutto, e andò a cambiarsi con passo più energico. Ma quando allo specchio si vide vestito con gli abiti di Conrad, in casa sua, gli sfuggì una risata secca. Fu mentre infilava il pacco con la roba di Conrad nel vano per la spedizione postale che notò la porta del ripostiglio. Era socchiusa. Mandò via il pacco e s’avvicinò alla porta, poi si fermò fuori, in ascolto. Dovette trattenere il respiro per udire meglio. Con un brivido Bill allungò una mano e aprì la porta. E nella penombra vide Mary. La ragazzina sedeva sul pavimento, in un angolo, con le ginocchia sollevate contro il petto. I suoi fragili polsi erano incrociati sullo sterno, fra le ginocchia e il torace, e aveva i pugni chiusi come… come quelli di un feto. La fronte era china, gli occhi serrati e i lineamenti le si erano distesi in un’espressione vacua e lontana. Quella vista sconvolgente mozzò il fiato a Bill e gli fece defluire il sangue dalla faccia. Con un fremito corse a inginocchiarsi davanti a lei. Nella sua gola, contratta, martellavano le parole: Oh, cosa ti ho fatto? Cosa ti ho fatto? ma non riuscì a dire verbo. Da quanto tempo la bambina era lì dentro? La domanda era così atroce che non poté sopportare di pensarci. Avvicinò le mani a lei, ma non la toccò. Poi un tremito d’orrore lo costrinse a indietreggiare e ad alzarsi. Quando tornò in soggiorno aveva un solo pensiero: doveva chiamare qualcuno che la aiutasse. E soltanto la Sorveglianza Medica poteva prendersi cura di un caso come quello. Immobile davanti al visifono seppe che le conseguenze di un atto così disperato avrebbero tradito tutto ciò che lui aveva sempre fatto e pensato. Doveva chiamare la Sorveglianza Medica. Non poteva fronteggiare senza quell’aiuto le conseguenze del suo comportamento illegale. Poi, come un’immagine rimasta intrappolata nell’apparecchio, vide nel vetro il fantasma del volto di Clara: una donna sola, tagliata fuori dalla vita, che aveva soltanto lui a cui affidarsi. Una parte di lui, un angolo della mente che aveva sempre rifiutato di guardare ai drammi dell’esistenza, era stata di colpo tagliata via. Si sentiva confuso, stordito e disturbato da pensieri che non riusciva a identificare. Le emozioni che facevano tremare il suo corpo non avevano precedenti. E come un animale inerte e spaventato restò li in piedi, mentre il suo cuore rallentava le pulsazioni e l’incertezza era una rete da cui non riusciva a districarsi. Infine la consapevolezza che Clara lo stava aspettando lo indusse a muoversi, e uscì di casa. Quello che lasciava di sé era un appartamento con la porta del ripostiglio chiusa, un appartamento senza ripostiglio. Ma quando fu in casa di Clara e poté stringerla fra le braccia la paura d’essere scoperto e punito lo abbandonò. Ciò che sentiva era soltanto un grande bisogno di lei. Gli sembrò che ci fosse appena una piccola differenza fra quello e i loro primi abbracci, ed era una differenza in meglio, perché adesso Clara era tesa e apprensiva. Questo gli dava una nuova tenerezza per lei, come il sentimento che si può provare per un bambino indifeso. Ebbe l’impressione che non ci fossero più limiti al mare di dolcezza e di comprensione che d’un tratto dilagava in lui, e la profondità di quel sentimento lo sorprese. La baciò più volte, accarezzandola e cullandola fra le braccia come una bambina spaurita. — Oh, Bill — mormorò Clara. — Ci stiamo comportando male, Mary è stata qui, ieri. Qualunque cosa volesse dire, questo non aveva importanza per lui. — Va tutto bene — le rispose. — Non preoccuparti. — Ma lei ha bisogno di te, Bill. E io ti sto tenendo lontano da lei. Ancora una volta, qualunque cosa fosse quella di cui stava parlando, gli parve irrilevante di fronte al fatto che lei non era felice. Le accarezzò il viso. — Clara, non angustiarti di questo. Cerchiamo di essere sereni com’eravamo un tempo. La condusse sul divano e sedette, stringendola a sé, con la testa di lei poggiata su una spalla. — Conrad è preoccupato a causa mia. Sa che qualcosa non va. Oh, Bill, se lui ci scoprisse chiederebbe il massimo della pena per te. Bill sentì ancora la paura come una pietra gelida nel petto. Fu costretto a pensare a Helen e alla vergogna cocente che avrebbe provato. Il comportamento della Sorveglianza Medica sarebbe stato automatico come quello di una macchina, logico quanto un’equazione: quando più alte si levavano le proteste degli offesi, quando nessuna voce interveniva a difendere un contravventore allora erano messe in atto le contromisure più drastiche. Conrad adesso sapeva, naturalmente: Bill aveva potuto sentire il suo odio. La fine si avvicinava; la morte si sarebbe chiusa su di lui con dita elettroniche. L’allucinante sensazione di un fantasma che afferrava la sua mente, e poi… L’infelicità di Clara e il modo in cui girò il volto rigato di lacrime contro la sua spalle, costrinsero Bill a controllare il panico e a dedicarsi a lei per tranquillizzarla con le sue carezze. Anche più tardi, quando giacquero assieme nella perlacea luce lunare che entrava dalla finestra, fece all’amore con lei badando solo a placarne l’angoscia. Con attenzione e dolcezza cercò di staccare la mente di Clara da ogni altra cosa, e di spingerla soltanto su ciò che stavano facendo, di ancorare i pensieri di lei ai sensi e di tenerli lì. Poi si staccò dal suo corpo con un movimento brusco che le diede uno spasimo di piacere. E dopo aver mormorato qualche secondo ancora, con il respiro che le si placava pian piano, Clara s’addormentò di colpo come una bambina. Per un tempo interminabile Bill restò con lo sguardo fisso sul bianco disco della luna che si spostava nell’inquadratura della finestra, ascoltando il sussurro ritmico che le usciva dalle labbra dischiuse nel sonno. Ma ad un tratto s’accorse che il suo respiro s’era accelerato e nel corpo di lei c’era una tensione insolita. Il cuore gli balzò in gola; sottili brividi fatti di un orrore imprecisato gli si diramarono lungo la schiena. Si girò e vide gli occhi di lei spalancati nel pallore lunare. E anche dietro il trucco che li sottolineava seppe che quelli erano gli occhi di Helen. Fece l’unica cosa che gli restava da fare: compì l’ego-rotazione. Ma in quel terribile istante fu conscio di un’altra cosa che non aveva messo in conto. Nello sguardo di Helen non c’era soltanto la vergogna di trovarsi a fare la rotazione nella casa della sua ipoego; non c’era soltanto il disgusto per lui che l’aveva portata a quel punto; c’era, come se fosse una donna del XX Secolo, odio per colei che era la sua rivale in amore. E odiava Clara doppiamente perché lui non si limitava a tradirla con una qualsiasi altra donna, bensì con quella che condivideva il suo corpo e che lei non avrebbe mai potuto conoscere. Mentre l’ego-rotazione lo portava nel buio, Bill fu dolorosamente certo che la prossima cosa che avrebbe visto sarebbe stato il volto adamantino di un sorvegliante medico. * * * Il maggiore Paul Grey e altri due ufficiali della Sorveglianza Medica entrarono nell’appartamento dei Walden circa due ore dopo che Bill ne era uscito per recarsi da Clara. Ciò che il maggiore Grey scoprì lo fece irritare soprattutto con se stesso. In ogni caso di deviazione sociale, o di mancato uso di droghe, le informazioni più importanti erano ottenibili solo lasciando proseguire la situazione sotto sorveglianza. Ma lui non aveva previsto che la vita di Conrad Manz potesse essere in pericolo, e certamente sarebbe intervenuto prima se avesse saputo intuire quello che li aspettava nell’appartamento dei Walden. Dunque il maggiore Grey fu costretto a darsi la colpa di ciò che era successo a Mary Walden. Avrebbe dovuto controllare sul computer del suo ufficio i dati in arrivo da Susan e da Mary, e non soltanto quelli inviati dai bracciali di Bill e di Conrad e delle loro mogli. Non l’aveva fatto perché quello era il turno di Susan e non s’era aspettato che Mary anticipasse la rotazione. Ora capiva che Helen e Bill Walden dovevano aver litigato sul fatto che Clara ritardava la propria uscita dal turno, e che questo aveva diretto l’attenzione della ragazzina sui coniugi Manz. Aveva anticipato l’ego-rotazione per conoscerli… in cerca di un padre più affezionato, ovviamente. Tuttavia… la situazione non sarebbe arrivata a quel punto se il capitano Thiel, di servizio alla scuola di Mary, non avesse erroneamente attribuito la scomparsa di Susan dall’aula a un’ancora scarsa abitudine agli effetti delle droghe. Il capitano Thiel sapeva già che lui era in città per occuparsi di Bill Walden, perché Grey l’aveva chiamato per discutere il caso. Ma soltanto diciotto ore dopo la scomparsa di Susan aveva intuito che Mary doveva aver forzato la rotazione, mossa da ragioni connesse con le aberrazioni del padre. Nel momento in cui il capitano l’aveva avvertito, il maggiore Grey sapeva già che Walden aveva costretto all’ego-rotazione Conrad in circostanze drammatiche, e si accingeva ad intervenire. Era arrivato lì convinto di trovare in casa il padre e la figlia, e invece… trovare Mary in stato catatonico l’aveva angosciato. Chiaramente il padre non aveva fatto altro che lasciarla lì. Uno sguardo bastò al maggiore Grey per capire che non sarebbe stato possibile interrogare Mary per diversi giorni, sempre a patto che le cure avessero funzionato con lei. Lasciò ai due ufficiali l’incarico di portarla in ospedale e andò a casa dei Manz. Usò il bracciale per aprire d’autorità, e appena fu entrato vide che in piedi nella stanza di soggiorno c’era una donna avvolta in un lenzuolo. Sapeva che si trattava di Helen Walden. Era strano quanto il trucco morbido e sensuale di Clara Manz sembrasse inadatto, perfino agli occhi di un estraneo, sul volto rigido e composto della sua iperego. Capì che Helen doveva darsi molto più colore sulle guance, e che nel farsi la bocca le dava un taglio severo. Senza dubbio la sua espressione tesa era dovuta a quell’incongruo make-up tanto quanto all’improvviso indumento. La giovane donna si strinse il lenzuolo addosso e dichiarò, freddamente: — Non intendo mettermi i vestiti di quella donna. Il maggiore Grey si presentò, poi chiese: — Dov’è Bill Walden? — Ha fatto l’ego-rotazione! E mi ha lasciato con… oh, che vergogna! Il maggiore Grey condivideva il suo smarrimento. Non era possibile sfuggire al condizionamento ricevuto nell’infanzia: i rapporti sessuali fra un iperego e un ipoego non erano semplicemente fuorilegge, erano ripugnanti. Se fossero stati permessi, avrebbero potuto distruggere i meccanismi sociali. E quegli idealisti (tutto ipoego, naturalmente) che volevano eliminare i due termini distintivi lo ignoravano. La prossima cosa che avrebbero chiesto sarebbe stata quella di far vivere i bambini con i loro veri genitori! Il maggiore Grey entrò nella camera da letto. La porta del bagno era aperta, e al di là di essa vide Conrad Manz che si stava rifacendo il trucco. Conrad si volse a guardarlo con ostilità. — Le spiace starsene fuori di qui finché non avrò finito? Ho già sopportato più di quel che un uomo possa sopportare. Il maggiore Grey chiuse la porta e tornò da Helen Walden. Estrasse una pastiglia di Talamblok dal suo medibox e gliela porse. — Probabilmente lei è a un livello di droga molto basso; meglio che prenda questa. — Le riempì un bicchiere di vino. Poi, mentre aspettavano che Conrad fosse pronto, chiamò per visifono la più vicina stazione pubblica per l’ego-rotazione e ordinò un abito d’emergenza per la donna. Più tardi, quando i due furono finalmente vestiti, truccati com’erano abituati e drogati secondo le loro necessità, li invitò a sedersi sul divano di fronte a lui. Si sistemarono alla massima distanza fra loro, ciascuno rigido e risentito per la presenza dell’altro. Con calma il maggiore Grey disse: — Questa faccenda, come avrete certo compreso, finirà davanti a un tribunale della Sorveglianza Medica. È una cosa seria. Osservò i loro volti. Su quello di lei lesse una cupa determinazione. Negli occhi di Conrad balenò una luce allarmata: l’uomo amava sua moglie. Questo sarebbe stato d’aiuto. — In un caso come questo la Sorveglianza Medica deve dare un peso alle vostre decisioni, oltreché alle prove tecniche da noi messe insieme. Sfortunatamente il numero di persone direttamente coinvolte nelle conseguenze di questo caso è ristretto a voi due, a causa del vostro peculiare matrimonio. Se gli ipoego, Clara e Conrad, fossero stati sposati con altri coniugi, potremmo convocare almeno sei persone coinvolte e quindi ottenere una sentenza più ponderata. Stando così le cose, l’intera responsabilità ricade su voi due. Helen Walden esibì una fredda sicurezza. — Non vedo come potremmo evitare di dare giudizi perfettamente logici. Dopotutto non siamo noi quelli che hanno fatto a meno di prendere le droghe… sono stati loro a rifiutarle, non è così? — disse, decisa ad andare fino alle estreme conseguenze e sicura di aver ragione. — Sì, è un caso di rifiuto di droghe. — Il maggiore Grey fece una pausa mentre lei soppesava quella frase. — Ma devo correggerla in un particolare. Il fatto che lei abbia assunto la giusta quantità di droghe non basta a garantire che lei agisca logicamente in questa situazione. La mente drogata è tuttavia logica per definizione. E resta fermo il nostro obbligo di proteggere sia le droghe sia le menti drogate. — Guardò negli occhi Conrad e aggiunse: — Di conseguenza è possibile per voi arrivare alla logica conclusione che… la soluzione necessaria è la morte. — Tacque, fissando le loro labbra serrate. Poi disse: — Al giorno d’oggi sono però possibili altre soluzioni con risultati accettabili. — Ma loro rifiutavano di prendere le droghe! — esclamò Helen. — Lei parla come se volesse difenderli. Se è della Sorveglianza Medica dovrebbe perseguire i criminali. — Io non perseguo la gente in quel senso, signora Walden. Ciò che perseguo sono gli atti commessi, ovvero il rifiuto delle droghe e il comportamento antisociale. C’è una certa differenza. — Ma bene! — sbottò lei. — Ho sempre saputo che presto o tardi Bill si sarebbe messo nei guai con le sue selvagge idee asociali. Ma non avrei mai immaginato che la Sorveglianza Medica avrebbe preso le sue idee! Il maggiore Grey trattenne il respiro, ormai quasi certo che la donna sarebbe caduta nella sua trappola. E in tal caso, forse lui avrebbe potuto salvare Clara Manz prima del processo. — Dopo tutto hanno commesso un crimine contro la società. Hanno rifiutato le droghe sfidando ciò su cui si fonda la nostra vita, e… — Stia zitta! — Conrad aprì bocca per la prima volta da quando s’era seduto. — La Sorveglianza Medica ha impiegato settimane a mettere insieme le prove ed a preparare le sue proposte. Lei non ha visto niente di questo ma ha già pronta la sua opinione. È logico questo? Sembra che lei voglia veder morto suo marito. Forse quel povero diavolo aveva le sue ragioni, dopo tutto, se ha fatto quello che ha fatto. — Sul volto di lui c’era quanto di più vicino all’odio le droghe gli consentivano di provare. Il maggiore Grey lasciò uscire lentamente il fiato. I due erano in chiaro disaccordo. Probabilmente avrebbe potuto sfruttare questo fatto per lavorare su Conrad e far sospendere la sentenza, in modo che fossero messe in atto le raccomandazioni della Sorveglianza Medica. Li lasciò cuocere nel loro ostile silenzio reciproco per un poco, quindi pensò di metterli di fronte ai fatti: — Devo ricordarvi che ci sono ben pochi vantaggi nel trovarsi con un alter-ego estinto dal cancellatore mnemonico. Un uomo il cui iperego è stato cancellato ha l’obbligo di trascorrere i suoi cinque giorni fuori-turno in ospedale, sotto animazione sospesa. Questo è dannoso alla salute del corpo ma necessario. Altrimenti il naturale disgusto di un individuo per il suo alter-ego e il comprensibile desiderio di possedere il corpo a tempo pieno darebbero origine agli stessi schemi mentali che hanno portato l’altro alla cancellazione. Questo accadeva spesso nel XXI Secolo, prima che venissero stabiliti i cinque giorni di sospensione obbligatoria. Lo si usava pure come «cura» per la schizofrenia anche se era solo, naturalmente, il brutale omicidio di una personalità innocente. Il maggiore Grey sorrise acremente a se stesso. — Ora devo chiedere ad entrambi di accompagnarmi all’ospedale. Desidero che lei, signora Walden, faccia subito l’ego-rotazione con la signora Manz. Lei, signor Manz, dovrà restare sotto stretta osservazione medica finché Bill Walden farà l’ego-rotazione. Poi penseremo noi, con un’iniezione, a tenerlo all’interno del suo corpo per il tempo necessario. * * * Il giovane ufficiale della Sorveglianza Medica mise da parte la siringa e poggiò una mano sulla fronte di Bill Walden. Gli scostò i capelli dagli occhi. — Avanti, signor Walden, la smetta di agitarsi, adesso. Bill cercò di controllare il suo respiro affannoso. — Mi avete preso; non posso più fare la rotazione, è così? — Sì, è così, signor Walden. Non fino a quando non lo vorremo noi. — Il giovanotto raccolse i suoi strumenti e si scostò dal letto. Bill si accorse che nella stanza c’era un altro sorvegliante medico. L’uomo lo stava osservando con pensosa malinconia, come da lontano. — Io sono il maggiore Grey, Bill. Mi occupo del suo caso. Lui non rispose. Lasciò vagare lo sguardo sul soffitto di quella camera d’ospedale. Poi s’accorse che la bocca gli si piegava in un sorriso. — Cos’è che la diverte? — chiese il maggiore Grey. — L’aver lasciato il mio ipoego con mia moglie — rispose candidamente Bill. La cosa aveva già smesso di apparirgli comica, ma vide il maggiore Grey sorridere a dispetto di se stesso. — Erano piuttosto sconvolti quando li ho trovati insieme. Credo che avessero appena terminato una discussione abbastanza spiacevole. — L’uomo si accostò al letto e sedette sulla poltroncina lasciata libera dal giovane medico. — Lei sa, Bill, che dovremo farle un’analisi completa. Vogliamo fare tutto il possibile per salvarla ma questo richiede la sua collaborazione. Bill annuì con un nodo alla gola. Ecco che accadeva, pensò. E per scoprire cosa lo aveva fatto agire, sarebbero arrivati anche a spaccarlo in due. Il maggiore Grey parve intuire in lui l’amara volontà di resistere. La sua espressione si ammorbidì, la sua voce suonò comprensiva. — Vorrei che lei desiderasse aiutarci spontaneamente. Non possiamo costringerla a far niente. — Salvo che a morire — disse Bill. — Forse l’aiutarci ad avere quelle informazioni che potranno salvarle la vita al processo non le riuscirà tanto spiacevole. Ma la sua aberrazione ha gravemente compromesso la vita di diverse persone. Non crede che sia ora suo dovere, verso di loro, aiutarci a far sì che questo non abbia a ripetersi in futuro? — Il maggiore si passò una mano su una tempia grigia. — Penso che le farà piacere sapere che Mary si riprenderà del tutto. Presto cominceremo ad abituarla ai suoi nuovi genitori-assegnati, che verranno a farle visita ogni giorno. Questo la aiuterà a guarire più in fretta. Naturalmente per ora non può vedere nessuno. L’immagine, brutalmente nitida, di Mary rannicchiata sul pavimento del ripostiglio si ripresentò alla mente di Bill. Dopo un poco sentì il calore delle lacrime che gli scendevano sulle guance, e non fu capace di trattenere i singhiozzi. Il giovane medico tornò a chinarsi su di lui e gli iniettò una dose di Soporina. Bill si addormentò, ma non prima d’aver capito che avrebbe fatto ciò che la Sorveglianza Medica voleva. Il giorno successivo lo sottoposero a un’interminabile serie di esami fisici. Quelli psicologici furono lunghi e stressanti. Venne messo in un centinaio di diverse situazioni artificiali, e ogni sua reazione psicofisica fu registrata e analizzata. Ogni volta gli furono iniettate piccole quantità di droghe per controllare il modo in cui reagiva ad esse. A tarda sera il maggiore Grey venne a interrompere il sorvegliante medico che gli stava facendo per la sesta volta l’encefalogramma dopo avergli fatto prendere un’altra dose di Talamblok. — Benissimo, Bill. Lei sta collaborando in modo soddisfacente. Spero che non le importerà se dopo cena verrò in camera sua a fare quattro chiacchiere con lei. Quando Bill ebbe finito di mangiare si accorse d’attendere con impazienza l’arrivo del sorvegliante medico. Il maggiore Grey entrò quasi subito. Scosse il capo alla muta domanda che lesse nei suoi occhi. — No, Bill. Non avremo i risultati dei suoi esami fino a domattina. Ma in ogni caso questo è un argomento di cui non posso parlare con lei prima del processo. — Quando ci sarà? — Appena si finirà di valutare i risultati dei suoi esami. — Si passò una mano sul mento e parve sospirare. — Mi dica, Bill, lei cosa pensa del suo caso? Come si è messo in quella situazione e come le appare adesso, vista in retrospettiva? — Sedette nell’unica sedia della stanza, e accennò a Bill di accomodarsi sul divano. L’improvviso desiderio di parlare dei propri guai stupì Bill, che mascherò l’imbarazzo con una risatina. — Suppongo di sentirmi come se fossi sotto accusa per aver cercato di restare sobrio — disse, usando quell’antica parola con un’enfasi d’ironica rettitudine che sapeva il maggiore avrebbe compreso. Grey sorrise. — E come si sentiva quando era sobrio? Bill lo fissò. — Come si sentivano gli antichi Moderni, credo. Sentivo non solo ciò che mi accadeva, ma anche il modo in cui mi accadeva e non la sensazione artificiale che si prova quando si è drogati. Credo che ci sarebbe il modo di vivere senza le droghe e apprezzare ugualmente l’esistenza. Lei non ha mai provato a diminuire le sue dosi di droga, maggiore? Il sorvegliante medico scosse il capo. Bill gli rivolse un sorriso sognante. — Dovrebbe fare la prova. È come vedersi d’improvviso aprire la porta di una nuova vita: ogni cosa appare diversa. Dopo una pausa continuò: — Vede, con una vita media di cento anni ciascuno di noi vive cinquant’anni, e il suo alter-ego altrettanti. Non è poco, ma c’è il fatto che in questa mezza vita noi assaporiamo solo per metà il senso dell’esistenza a causa delle droghe. Dovrebbe esserci data la possibilità di provare il vero amore, o il vero odio, o il vero desiderio di vivere. Dovremmo poter provare, almeno ogni tanto, quegli intensi momenti di vita che fecero grandi gli antichi Moderni, non importa quali errori questo ci porterebbe a commettere. Il maggiore Grey disse, rigido: — Gli antichi erano grandi nell’uccidere, nel rubare, nel degradarsi a vicenda. La loro sobrietà era peggiore dell’ubriachezza. — Stavolta la parola antica non lo fece sorridere. Bill capiva l’implacabile logica con cui si stava scontrando. Era la logica che aveva salvato l’uomo dalla distruzione annichilendo il suo spirito. Era la vittoriosa logica delle droghe che avevano reso innocue le personalità asociali, rimodellandole in macchine efficienti e utili a una società dove non c’era l’infelicità perché non esisteva la vera felicità, e dove i soli crimini erano il rifiuto delle droghe e i rapporti sessuali fra alter-ego di tipo diverso. Senza droghe (e in quel momento non c’erano droghe nel suo sangue) era capace di rabbia e non riuscì a trattenerla del tutto. — Senza droghe si riesce a vedere la stupidità di questi nostri tabù sociali. Questo stupido nascondersi all’altra metà di se stessi! Questi mostri a due teste che snocciolano la loro morale artificiale e le loro interminabili prescrizioni di droghe! Sono persone da manicomio! Che scopo c’è a vivere in un mondo come questo? Se siamo tutti quanti malati con due teste in una, faremmo meglio a suicidarci… Bill s’interruppe, con un ansito, e nella stanzetta ci fu un lungo silenzio teso. Infine il maggiore Grey disse: — Penso che lei possa capire, Bill, che il suo desiderio di vivere senza droghe è incompatibile con questa società. E noi non possiamo costringerla artificialmente a provare desiderio per le droghe che la manterrebbero sano. Soltanto se potessimo dimostrare con certezza che quest’aberrazione non è parte intima della sua personalità, potremmo intervenire con la terapia o la chirurgia per estirparla. Dapprima Bill non comprese le implicazioni di quella frase. Quando ne afferrò il senso fu alla sorte di Clara che pensò, prima che alla sua, e la voce gli uscì in un sussurro: — Avete scoperto una… un’aberrazione in Clara? Il maggiore Grey non rispose neppure con lo sguardo. — Ho fatto in modo che lei possa parlare un poco con Clara Manz, domattina. — Si alzò, gli augurò la buonanotte e uscì dalla camera. Lentamente, come se muoversi gli costasse sofferenza, Bill spense la luce e nella penombra andò a sdraiarsi. Dopo un poco i battiti del suo cuore si placarono e cominciò a rilassarsi. Ma si sentiva come un esiliato, convinto di non rivedere mai più la patria, a cui fosse stato detto: Domani potrai oltrepassare quella collina e sarai a casa. Per l’intera notte non riuscì a chiudere occhio passando da stati di panico a momenti di desiderio disperato, in un cerchio senza fine. All’alba, quando un freddo grigiore penetrò nella camera silenziosa, cadde in un sonno tormentoso. Si svegliò che era già pieno giorno allorché un inserviente venne a portargli la colazione. L’eccitazione gli impedì di mangiare. Dopo che l’infermiere fu uscito, si lavò in fretta e indossò un’uniforme da ospedale pulita. Con mani tremanti si rifece il trucco, mise a posto il letto e sedette sul bordo in attesa che lo chiamassero. Per un’ora non venne nessuno. Finalmente entrò il giovane sorvegliante medico che due giorni prima gli aveva fatto l’iniezione per impedirgli l’ego-rotazione. Bill se lo trovò davanti quasi all’improvviso. — Buongiorno, signor Walden. Come si sente? Bill aveva continuato a oscillare fra stati di violenta tensione e un’inerzia nella quale non gli importava più nulla di se stesso. Voleva soltanto rivedere Clara e quel desiderio era una sofferenza. Fu come in sogno che seguì il giovanotto lungo un paio di corridoi e poi in un ascensore. A uno dei piani superiori dell’ospedale il sorvegliante medico aprì una porta e gli fece cenno di entrare. Bill sentì appena il battente chiudersi alle sue spalle. Clara stava guardando fuori da una finestra e non accennò neppure a voltarsi. Accigliato Bill si disse che le pareti di quel locale dovevano brulicare di apparecchi per la sorveglianza visiva e sonora, ma questo non gli importava. Tutta la sua attenzione era focalizzata sulla schiena della giovane donna rivolta alla finestra, e si sentiva il sangue pulsare negli orecchi come un tamburo. Pian piano, tuttavia, fu costretto ad accorgersi che qualcosa non andava, e quando la chiamò per nome la sua voce si spezzò. Sempre evitando di voltarsi Clara disse, in tono stranamente piatto: — Voglio che tu capisca che ho accettato d’incontrarti qui soltanto perché il maggiore Grey ha detto che è necessario. Gli occorse un minuto buono prima di riuscire a parlare. — Clara, io… ho bisogno di te. Lei si girò di scatto: — Non te ne vergogni? Tu sei il marito della mia iperego. Non capisci che significa? — D’improvviso i suoi occhi si riempirono di lacrime, e il rossore che le invase le guance era quello di una vergogna cocente. — Come potrà perdonarmi Conrad dopo che sono stata con il suo iperego e ho parlato dei suoi fatti personali? Oh, come posso esser stata così pazza? — Loro ti hanno fatto qualcosa — ansimò lui, tremando per la tensione. Clara sollevò la testa. Era il suo atteggiamento di sfida, come Bill sapeva, ma non sfida verso di lui — lui non esisteva più ai suoi occhi — quanto verso quella parte di se stessa che un giorno aveva avuto bisogno di lui, e che le avevano strappato. — Mi hanno curata — dichiarò la giovane donna. — Mi hanno curata di tutto fuorché della vergogna, e mi aiuteranno a liberarmi anche di questa non appena uscirò da qui. Bill la fissò a lungo prima di trovare l’energia di lasciare quella stanza. Nel corridoio, il giovane medico che lo aspettava non lo guardò in faccia. Lo riaccompagnò nella sua stanza e Io lasciò solo senza dire una parola. Bill si distese sul letto. Da lì a poco il maggiore Grey entrò. Si avvicinò al letto. — Mi spiace che sia dovuto succedere in questo modo, Bill. Lui fu costretto a schiarirsi la gola più volte: — Era proprio necessaria questa crudeltà? — Era necessario mettere alla prova le sue reazioni dopo l’intervento di psicochirurgia cui è stata sottoposta. Inoltre le sarà d’aiuto per superare la vergogna. Altrimenti potrebbe restare in lei la vaga paura che il suo amore illecito non sia morto. Bill non provava più nessuna emozione. Fissando il soffitto riuscì solo a pensare che in quel modo non c’era più posto per lui, non c’era più nessuno che avesse bisogno di lui. L’unica altra persona per cui la sua presenza avesse contato era stata Mary, e gli rimordeva la coscienza al pensiero di come l’aveva trattata. Ora la Sorveglianza Medica la stava curando dal male che lui le aveva fatto. E da Clara avevano estirpato come una pianta maligna il sentimento che li aveva uniti. D’improvviso l’atroce ironia della cosa lo fece ridere. — Io sono una malattia di cui gli altri devono essere curati! — Sì, Bill. Non c’è altro da fare. — Quando lui smise di ridere, la voce di Grey si fece secca: — Venga con me. È l’ora del suo processo. * * * La vasta aula dove si tenevano i processi era completamente vuota, salvo al centro, dove campeggiava un largo tavolo di quercia circondato da numerose poltrone. Gli ufficiali della Sorveglianza Medica presenti erano tre, più il maggiore Grey. Helen non disse verbo quando Bill fu condotto avanti. Fu fatto sedere dallo stesso lato del tavolo, con uno degli ufficiali fra loro. Due guardie si piazzarono dietro la poltrona occupata da lui. A parte questi, nel locale non c’era nessun altro. Le grandi finestre erano alte rispetto al pavimento e mostravano soltanto il cielo terso. Ogni tanto Bill vedeva comparire uno stormo di piccioni, che volavano in cerchio come lampi argentei. Salvo lui, tutti al tavolo avevano una copia del rapporto completo sul suo caso, e ne stavano discutendo con brevi commenti. Nel vuoto fra il soffitto e il pavimento un vago gioco di echi faceva da sfondo alle chiacchiere dei presenti. La discussione sul rapporto s’interruppe quando il maggiore Grey si alzò in piedi. I suoi occhi seri passarono da volto a volto mentre esordiva, in tono ufficiale: — Questo è un tribunale medico, dove si valuteranno sia i referti clinici sia le richieste delle persone interessate allo scopo di giungere a una decisione su Bill Walden, considerato un malato. Egli è stato ricoverato in ospedale in seguito a un rifiuto di droghe e a un comportamento antisociale. Davanti a noi abbiamo un rapporto medico riguardante il malato. Tutti i presenti ne hanno preso visione accurata? Sotto il suo sguardo gli altri annuirono. — Tutti i presenti si ritengono competenti per emettere il loro giudizio su questo caso? Di nuovo la risposta fu un assenso generale. Il maggiore Grey continuò: — È mio dovere informarvi, in presenza del malato, della sostanziale differenza esistente fra un processo per semplice rifiuto di droghe ed uno in cui quest’aberrazione è unita al comportamento antisociale. «È accertato che nessun genere di aberrazione è possibile allorché le droghe vengono prese come da prescrizione medica. Dopotutto, le droghe sono la base della nostra società schizofrenica. Nonostante ciò il semplice rifiuto di esse rappresenta di solito soltanto un caso psicologico, a cui è abbastanza facile porre rimedio. «Il comportamento antisociale provoca invece un danno molto più grave al nostro mondo. Generalmente ha motivazioni profonde nella psiche del malato, e di conseguenza non è accessibile alla terapia. Un malato di questo tipo è affascinato dall’esplorazione emotiva delle antiche passioni, e indotto a stati d’animo d’estremo orgoglio, sul genere Datemi la libertà o la morte! senza più curarsi del benessere della società. Bill continuava a osservare il cielo in cui ogni tanto ricomparivano i piccioni: una manciata di creature lanciate nell’azzurro. Non aveva mai provato tanta attrazione per il cielo libero. Se mi rinchiuderanno in ospedale, pensò, non chiederò altro che di star seduto e di poter guardare fuori da una finestra, per sempre. — La nostra società schizofrenica — stava dicendo il maggiore Grey — è perfettamente unita e funzionante perché, in ogni individuo, i conflitti di personalità sono stati risolti separando in via definitiva l’ipoego dall’iperego. A livello sociale tali conflitti sono invece risolti dalla separazione dei turni di ego-rotazione, a cui vengono impediti i contatti reciproci. Oppure vengono contenuti nei turni dove i contatti sono possibii per non più di un giorno o due su dieci. L’incursione di Bill Walden in un turno che non gli spettava è un tipo di comportamento destinato a riattivare tali conflitti, oltreché a generare in altri le passioni distruttive tipiche delle menti non drogate. E come risultato ha avuto gravi sofferenze e vite sconvolte. Il maggiore Grey fece una pausa e si volse direttamente a Bill. — Gli esami a cui lei è stato sottoposto hanno dimostrato che la sua intera personalità è coinvolta. Potrei anzi dire che l’aberrazione del vivere senza droghe e dell’infrangere i codici etici è la sua personalità. Tutti questi ufficiali della Sorveglianza Medica sono d’accordo con questa diagnosi. A noi della Sorveglianza Medica non resta ora che consultarci con i cittadini coinvolti per decidere l’azione da intraprendere. Dopo questa diagnosi le sole decisioni possibili sono due: il ricovero permanente in ospedale, oppure… l’asportazione completa della personalità con il cancellatore mnemonico. Bill non riuscì ad aprir bocca. Vide il maggiore Grey fare un cenno a una delle guardie, e sentì che l’uomo gli tirava su una manica. Poi ci fu il breve spasimo di dolore di un’iniezione nel suo braccio inerte. Si rese conto che lo stavano forzando all’ego-rotazione per avere Conrad Manz seduto al processo in qualità di parte lesa. Disperato si volse alla finestra e vide il cielo farsi sempre più scuro finché tutto scomparve. Il maggiore Grey non distolse pudicamente lo sguardo, come gli altri, mentre l’ego-rotazione era in corso. Notò che Helen Walden stava esagerando drammaticamente la sua vergogna nel dover presenziare a una rotazione, ma gli ufficiali della Sorveglianza Medica si limitavano a fissare il tavolo. Grey vide la faccia di Conrad Manz assumere i lineamenti per gradi mentre la personalità prendeva pian piano possesso del corpo. Bill Walden era intervenuto senza trucco, e appena fu certo che Conrad poteva capirlo Grey si scusò: — Spero che lei non abbia nulla in contrario ad apparire brevemente in pubblico senza trucco. Lei sta presenziando al processo contro Bill Walden. Conrad Manz annuì, e il maggiore attese qualche minuto che la rotazione fosse completa prima di riprendere. — Signor Manz, durante i due giorni che lei ha atteso in ospedale che noi prendessimo Bill Walden io ho discusso abbastanza a fondo questo caso con lei, specialmente per le sue connessioni con il caso di Clara Manz, sulla quale stavamo già lavorando. «Come ricorderà, per quanto riguarda sua moglie la Sorveglianza Medica ha diagnosticato un’aberrazione localizzata. È stato dunque semplice applicare il cancellatore mnemonico a quella piccola sezione, senza danneggiare affatto la sua personalità. La Sorveglianza Medica aveva raccomandato questa procedura, e la malata è andata sotto operazione senza passare attraverso un tribunale. Ciò grazie al fatto che lei e la signora Walden, come parti in causa… — Grey fece una pausa perché Conrad ricordasse quanto a lungo e testardamente Helen aveva insistito che Clara fosse eliminata. — … vi siete trovati d’accordo con la nostra diagnosi. Il maggiore lasciò aleggiare nell’aria un’altra pausa di silenzio. — Il caso di Bill Walden è piuttosto diverso. La sua aberrazione coinvolge l’intera personalità, e le sole prognosi consigliate sono l’ospedalizzazione permanente oppure la cancellazione totale. In questo caso credo che le opinioni dei sorveglianti medici siano divise. Inoltre… — Grey si volse a Conrad Manz, esibendo calma, — dobbiamo avere l’opinione delle parti lese. — Che significa, maggiore? — domandò l’ufficiale più alto in grado, un colonnello di nome Hart che si teneva impettito con aria militaresca. — Cosa intendete affermando che le opinioni dei sorveglianti medici sono divise? Il maggiore Grey rispose, pacatamente: — Io raccomando il ricovero in ospedale. Il colonnello Hart s’imporporò di colpo. Si piegò in avanti, poi tornò a raddrizzare la schiena. — Questo è assurdo! Ci troviamo dinanzi a un caso lampante: una pericolosa minaccia alla nostra società. E mi permetta di ricordarle che noi abbiamo giurato di proteggere la società. Il maggiore ebbe un sospiro stanco. Capiva che agli altri risultava difficile afferrare il motivo per cui lui lottava sempre contro la cancellazione in casi simili. Ma si sforzò di mostrarsi calmo e determinato. — La minaccia alla società viene pienamente rimossa da entrambe le alternative: il ricovero in ospedale e la cancellazione totale. Credo che dai documenti medici di Bill Walden abbiate compreso che si tratta di una personalità a suo modo ben realizzata e con un’intelligenza notevole. Nel XX Secolo sarebbe stato un cittadino onesto e produttivo, e oso dire che se a quei tempi ci fosse stata più gente come lui la nostra attuale società ne avrebbe goduto i benefici. «La nostra storia è quella di una società che elimina tutte le personalità che non riescono a inserirsi nel sistema delle droghe. Oggi costoro sono diminuiti di numero al punto che in tutta la mia carriera ne ho trattato appena centotrentasei… Il maggiore Grey notò che Helen Walden s’era irrigidita nella sua poltrona. D’improvviso capì che la donna era conscia meglio di lui dell’effetto che quelle parole avevano sugli altri. — Non dobbiamo dimenticare che ogni qualvolta cancelliamo una di quelle personalità — continuò in tono pressante, — la società perde irrimediabilmente una certa percentuale delle sue capacità di cambiamento. Se eliminassimo tutte le personalità non-inserite, finiremmo per trovarci privi di quelle menti che bene o male ci impediscono il ristagno, e che dunque dovranno spronarci a miglioramenti futuri. I nostri diretti antenati erano purtroppo meritevoli della reclusione negli ospedali psichiatrici… ma oggi dove saremmo se fossero stati cancellati? Conrad Manz — domandò bruscamente, — qual è la sua decisione sul caso di Bill Walden? Helen Walden si protese in avanti. Conrad però rifiutò di guardarla e scosse le spalle robuste. — Oh, chiudete in ospedale quello sciagurato! Lo sguardo di Grey oltrepassò il colonnello Hart per volgersi subito su uno dei due ufficiali: — Qual è la sua decisione, capitano? Ma Helen Walden fu troppo svelta. Prima che lui potesse battere sul tavolo per chiedere ordine, la voce secca della donna echeggiò nella sala. — Poiché sono stata la moglie del signor Walden per quindici anni, i miei comprensibili sentimenti mi suggerirebbero di chiedere il ricovero in ospedale. Questo lo dico per dimostrare, se il maggiore Grey me lo concede, che la logica di una mente drogata mi rende capace di valutare la situazione, contrariamente a ciò che sembra insinuare. Helen attese che i presenti si fossero ben resi conto che Grey li aveva accusati d’essere illogici. — L’aberrazione di Bill ha causato un grave danno alla mente di Mary. E pensate alla facilità con cui ha contaminato quella di Clara Manz! Non posso chiedere che la società si esponga a un pericolo, anche isolando Bill in un ospedale, per semplici ragioni personali. «In quanto alle argomentazioni sociali del maggiore Grey, non vedo che logica ci sarebbe nel processare mio marito per questo crimine se da esso dovessimo aspettarci i benefici futuri di cui parla. Ma i cambiamenti prodotti da uomini come Bill possono solo condurre alla rovina un mondo come il nostro. Ed è per tenere lontana da noi questa rovina che dobbiamo eliminarlo. Non ebbe bisogno di dire nient’altro. I due ufficiali della Sorveglianza medica erano adesso ben consci del loro primo dovere. Il colonnello Hart, benché avesse sbuffato alle parole di una donna, si limitò a fare cenno a Grey di continuare. Ma il destino di Bill Walden era segnato. Il maggiore sedette, stanco e a disagio, e in lui tornarono ad agitarsi i dubbi. Ma alla fine sapeva che gli sarebbe rimasto solo il più grande: avrebbe saputo giungere alle sue conclusioni sociali se non fosse stato drogato? E quale sarebbe stata la logica in un processo senza droghe? Fu conscio dell’immobilità che c’era in sala. Tutti aspettavano lui, ora che la decisione era irrevocabile. Senza le droghe, si chiese, avrebbe potuto sentirsi… qual era l’antico termine, in colpa? No, questo era ciò che provava un criminale. Rimorso? Sì, ecco cos’avrebbero dovuto sentire. Il maggiore Grey desiderò poter costringere Helen ad assistere alla cancellazione: la gente non si rendeva conto di ciò che era. Cosa gli aveva detto Bill? Senza droghe si riesce a vedere la stupidità di questi nostri tabù sociali. Questo stupido nascondersi all’altra metà di noi stessi… Be’, non era forse quella un’accusa da esaminare seriamente se la si prendeva abbastanza seriamente da uccidere l’uomo che l’aveva pronunciata? Appena quel caso fosse terminato lui avrebbe dovuto tornare nella sua città e cancellare provvisoriamente se stesso affinché il suo iperego, Ralph Singer, un pittore imbrattatele e un inutile sciocco, potesse sprecare i cinque giorni che gli spettavano. Era a quell’individuo che lui regalava la metà dei suoi giorni di vita. A cosa serviva un tipo come Singer? Il maggiore Grey si rialzò e ordinò a una delle guardie di fare a Conrad Manz un’iniezione per costringere Bill Walden all’ego-rotazione. — Appena avrò informato il malato della nostra decisione, tutti voi potrete abbandonare l’aula; l’apparecchiatura è già pronta per eseguire subito la cancellazione. Dopo la cancellazione, signor Manz, lei dovrà ritenersi obbligato a venire in ospedale per il turno alternato di animazione sospesa. Per un motivo che forse sfuggiva anche a lui, la prima cosa che Bill fece appena tornò consapevole di ciò che lo circondava fu di guardare fuori dalle finestre in cerca dello stormo di piccioni. Ma i volatili se n’erano andati. Bill si volse al maggiore Grey: — Cos’avete deciso di fare? L’ufficiale si passò una mano fra i capelli grigi, ma lo sguardo con cui lo fronteggiò fu fermo. — Lei sarà cancellato. Bill scosse la testa. — C’è qualcosa di sbagliato in questo — disse. — Signor Walden… — sospirò il maggiore. — C’è qualcosa di sbagliato — ripeté Bill, sconsolato. — Perché bisogna essere divisi in due, se poi c’è qualcosa che manca in ciascuna delle due metà? Perché dobbiamo istupidirci con le droghe che ci impediscono di conoscere sentimenti veri? Io stavo cercando di vivere una vita migliore: non volevo nuocere a nessuno. — Ma lei ha nuociuto agli altri — disse Grey, accigliato. — E nuocerebbe ancora se le permettessimo di vivere come le pare in questa società. E per lei sarebbe insopportabile la reclusione a vita in ospedale. Dobbiamo impedirle definitivamente di trovare un’altra Clara Manz. E non c’è nessuno che sentirà la sua mancanza, non è così? Gli occhi di Bill fissarono un punto vuoto della parete, come se ci vedesse qualcosa d’inafferrabile, e si empirono di lacrime. — Nessuno? — ripeté ottusamente. — Nessuno? Le due guardie che lo presero per le braccia dovettero praticamente sostenerlo per tutto il percorso fino alla sala operatoria. Si sentiva svuotato d’energia e disperato. Non fece alcuna resistenza quando lo stesero sul tavolo operatorio e lo legarono con le cinghie. A un lato aveva la grande consolle del cancellatore mnemonico, con i suoi mille freddi occhi elettronici. In alto c’era un anfiteatro dove un insegnante stava illustrando il caso a una scolaresca, ma non poté più vederli dopo che gli fu messo in testa il voluminoso casco operatorio collegato al computer. Scaglionati intorno alla sala c’erano altri studenti, in camice, che lo fissavano con l’interesse di chi non intende permettere che un dramma umano interferisca con la sua educazione tecnica. La voce dell’insegnante, tuttavia, giungeva anche a costoro: — Il cancellatore mnemonico può isolare selettivamente ogni singolo ricordo presente nell’encefalo, e quindi agire sulle miriadi di sinapsi che attivandosi ne ricostruirebbero lo schema. La circolazione della memoria ne viene quindi disorganizzata. L’apparecchiatura localizza e colpisce le cariche elettriche presenti nei neuroni. Come sapete, la memoria è in parte presente sotto forma chimica e in parte sotto forma di elettro frequenze-eco nel citoplasma dei neuroni. Le sinapsi sono in contatto nel complesso del sistema mnemonico solo durante il fenomeno del ricordare. E il ricordo prende forma allorché le sinapsi duplicano le elettrofrequenze-eco trasformandole in frequenze circolanti. «Lo scopo, in un’operazione completa come l’attuale, è di distinguere con cura le elettrofrequenze-eco appartenenti alla personalità deviante da quelle della personalità sana, affinché solo le seconde restino intatte. Il volto del maggiore Grey, piuttosto pallido ma faticosamente contratto in un sorriso rassicurante, entrò nel campo visivo di Bill. — Ci saranno alcuni momenti di panico artificialmente indotto con una droga, Bill. Questo è necessario per la riuscita dell’operazione: spero che il saperlo in anticipo ti aiuterà a sopportarlo: sarà una cosa breve. — Gli strinse un attimo una spalla, poi scomparve di lato. — La tecnica di base risale ormai a molti secoli or sono, quando operazioni complete di questo genere erano assai più frequentemente necessarie — continuò l’insegnante. — Estinguere una personalità lasciando l’altra intatta è in realtà abbastanza semplice. Nel caso che abbiamo davanti, l’altra personalità è paralizzata da una droga per impedire a questa di compiere l’ego-rotazione. Al momento culminante la personalità del malato verrà stimolata con una droga per farla balzare al vertice massimo della sua attività psichica. Ciò coinvolgerà i neuroni ad attivare le sinapsi simultaneamente in fase di ricezione. Sarà quindi facile per il calcolatore localizzare tutte le elettrofrequenze-eco della personalità attualmente in possesso del corpo e risucchiarne la carica elettrica. D’un tratto Bill si accorse che un ago gli era stato infilato in un braccio. Subito dopo fu come se tutto il terrore, il panico, i traumi psichici e le paure di un’intera vita gli affluissero alla mente. C’erano anche tutte le esperienze e le sensazioni piacevoli da lui vissute, ma ciascuna di esse era gravida di orrore allo stato puro. Un cicalino stava suonando con trilli regolari. Sulla consolle del cancellatore mnemonico le luci colorate degli indicatori erano in continuo movimento. In lui scattò di colpo, al di là del terrore, un desiderio di vivere così spasimante che avrebbe voluto urlare. Ma fu come dall’interno di un’isola di calma assoluta che parte di lui vide le facce, adesso pallide e scosse, degli studenti allineati in sala operatoria. E un’altra parte del suo corpo sembrava dilatarsi, gonfiarsi, fino a salire al livello dell’anfiteatro e disperdersi in cellule che gridavano con miriadi di voci. Stranamente collegate ad esse le luci del cancellatore mnemonico palpitavano ritmicamente, rapide e sempre più intense. D’un tratto le lancette degli indicatori giunsero a fondo scala, e file di luci rosse lampeggiarono allarmate. Qualcuno disse, con calma: — Adesso! — La mente di Bill Walden s’incanalò lungo un cavo come energia elettrica, i convertitori la trasformarono in semplice energia meccanica e tutte le lancette dell’apparato ricaddero sullo zero. — Per favore, sedetevi — disse l’insegnante agli studenti, molti dei quali si erano sbiancati in viso. — La droga che paralizzava l’altra personalità sarà adesso eliminata con una piccola iniezione. E poiché la personalità malata si è disintegrata quella sana prenderà possesso del corpo rapidamente. «Come sapete, le sinapsi operano con il sistema binario sì-no come i calcolatori elettronici. Tutte le sinapsi chimicamente troppo legate alla personalità malata sono ora fuori uso. Tuttavia potranno essere rieducate all’attività dagli schemi psichici della personalità rimasta… Ecco, potete vedere dal volto del paziente che la personalità sana sta ricomparendo. * * * Fu il volto di Conrad Manz quello che riuscì a esibire un sogghigno stentato mentre si guardava attorno. Qualcuno lo aiutò a sedersi, e si massaggiò le braccia intorpidite dalle cinghie. — Avete dovuto portarlo qui a forza il povero Bill Walden? Mi duole ogni muscolo del corpo come se avessi fatto un incontro di lotta. Be’… è la stessa situazione in cui io ho spesso lasciato lui. Il maggiore Grey era in piedi davanti a lui, con i denti stretti e negli occhi ancora un riflesso dell’orrore che aveva visto. — Secondo la legge, signor Manz, lei e sua moglie potete godere adesso di cinque giorni di riposo: il vostro intero turno. Quando saranno scaduti, lei dovrà presentarsi al più vicino ospedale, dove trascorrerà in animazione sospesa quello che sarebbe stato il turno del suo iperego. Il sogghigno di Conrad s’incrinò e svanì. — Sarebbe stato? Vuol dire che Bill è… andato? — Sì. — Non l’avrei mai creduto ma sento la sua mancanza. — Le spalle di Conrad si piegarono come sotto un peso. — Mi fa sentire… non so spiegarlo bene, come se mi avessero fatto un’amputazione. Come se in me ci fosse qualcosa di sbagliato, perché tutti hanno un alter-ego e io no. Il povero bastardo ha sofferto molto? — Ho paura di sì. Conrad Manz restò per un poco seduto con gli occhi chiusi, la bocca contratta in una smorfia che indicava pietà e rimorso, ma non durò molto. — Che ne sarà di Helen? — Se la caverà bene — disse il maggiore Grey. — C’è l’assicurazione di Bill, naturalmente, e poi non avrà difficoltà a trovarsi un altro marito. Quel genere di donna non ne ha mai. — Cinque giorni di riposo? — esclamò Conrad. — È questo che ha detto? — Saltò giù dal tavolo operatorio e si massaggiò le braccia sorridendo ampiamente. — Passerò tutto quanto il turno inchiodato ai razzo-sci! No, un momento… prima ho un appuntamento con la moglie di un pilota di volojet amico mio. Ci porterò anche Clara; alcuni soci del Club le piacciono. Il maggiore Grey annuì distrattamente. — Buona idea. — Salutò con una stretta di mano Conrad Manz, gli augurò di divertirsi per il resto del suo turno e se ne andò. Mentre saliva su un elitaxi per tornare nella sua città il maggiore ripensò al proprio iperego, Ralph Singer. Non di rado aveva provato il desiderio che quel dannato sciocco fosse cancellato. Ora dovette chiedersi cos’avrebbe provato senza l’altra personalità, e stupito comprese che Conrad Manz aveva ragione: sarebbe stata come un’amputazione, una minorazione vergognosa in una società dove ogni schizofrenico aveva il suo alter-ego. No, Bill Walden aveva avuto torto, completamente torto, sia sulle droghe sia sul fatto d’essere un individuo spaccato in due parti. Il piacere che si poteva provare facendo a meno delle droghe era più che perduto con l’insorgere di conflitti, frustrazioni e ostilità. E avere un alter-ego — uno qualsiasi, perfino un perdigiorno come Singer — significava pur sempre non essere soli. Il maggiore Grey parcheggiò l’elitaxi ed entrò in una stazione per l’ego-rotazione. Si lavò il trucco, impacchettò e spedì i suoi vestiti, e aspettò che la rotazione avvenisse. La società in cui viveva era la migliore possibile, si disse. Non l’avrebbe tradita per le sciocchezze che Bill Walden aveva tanto agognato. Nessuna persona sana di mente lo avrebbe fatto.