Saltatore Robert Silverberg Robert Silverberg è uno dei nostri autori preferiti e di questo non ne facciamo certo mistero. La sua versatilità e la sua bravura sono visibili anche in questo lungo racconto che egli compose in tempi abbastanza lontani (più di trenta anni fa) su un futuro oppressivo da cui la gente fugge per tornare a un passato più agreste e vivibile. Robert Silverberg Saltatore Hopper I Il campanello squillò, ma Quellen non gli badò. Era d’un certo umore e non voleva spezzarlo per rispondere al telefono. Continuò a dondolarsi irrequieto sulla pneumopoltrona, guardando i coccodrilli che nuotavano lentamente nelle acque torbide del fiume. Dopo un po’ il telefono smise di squillare, e Quellen restò felicemente passivo ad aspirare l’odore caldo della vegetazione e ad ascoltare il ronzio degli insetti nell’aria. Era l’unica cosa che non gli piaceva: il ronzio continuo di quegli insetti odiosi che sfrecciavano nell’aria tranquilla. In un certo senso rappresentavano un’invasione; erano simboli della vita che aveva vissuto prima di passare alla Classe Tredici. Allora, il rumore era stato il brusio ininterrotto della gente, la gente che brulicava nel grande alveare della città, e Quellen lo detestava. Lanciò in acqua un sasso. — Prendetelo! — gridò mentre i due coccodrilli scivolavano senza far rumore verso il punto dov’era caduto. Ma il sasso affondò, facendo sollevare mille bollicine nere, e i coccodrilli si urtarono leggermente con i musi affilati e si allontanarono. Quellen passò in rassegna il catalogo delle sue fortune. Marok, pensò. Niente Marok. Né Koll, o Spanner, o Brogg, o Mikken. Ma soprattutto niente Marok. Sospirò, pensando a tutti quanti. Che sollievo poter stare là e sopportare le loro voci ronzanti, e non rabbrividire quando facevano irruzione nel suo ufficio! E la cosa più bella era stare lontano da Marok. Non doversi più preoccupare delle pile di piatti da lavare, i mucchi di libri sparsi dappertutto nelle stanzette che avevano in comune, la sua voce asciutta e profonda che non finiva mai di parlare al visifono quando Quellen stava cercando di concentrarsi. No. Niente Marok. Eppure, pensò tristemente Quellen, la pace che aveva pregustato quando aveva costruito la sua casa nuova non si era materializzata. Per anni aveva atteso con straordinaria pazienza il giorno in cui avrebbe raggiunto la Classe Tredici e avrebbe avuto il diritto di vivere solo. E adesso che aveva raggiunto il suo scopo, la vita era diventata una paura inquietante dopo l’altra. Buttò in acqua un altro sasso. Mentre guardava i cerchi concentrici delle increspature disperdersi a ventaglio sulla superficie scura del fiume, Quellen si accorse che il campanello aveva ripreso a suonare, dall’altra parte della casa. Il disagio che aveva dentro si trasformò in un cupo presentimento. Si alzò e si avviò in fretta al visifono. L’accese, ma lasciò spento il video. Non era stato facile sistemare le cose in modo che tutte le chiamate a casa sua, ad Appalachia, venissero automaticamente passate lì. — Quellen — disse. — Qui Koll — disse una voce. — Non sono riuscito a trovarla prima. Perché non accende il video, Quellen? — Non funziona — disse Quellen. Si augurò che l’astuto Koll non sentisse la menzogna nella sua voce. — Venga qui immediatamente — ordinò Koll. — Io e Spanner abbiamo una cosa urgente da discutere con lei. Chiaro, Quellen? — Sì, signore. C’è altro, signore? — chiese Quellen, depresso. — No. Le diremo il resto quando sarà qui. — Koll interruppe bruscamente la comunicazione. Quellen restò per un poco a fissare lo schermo spento mordendosi le labbra. Non potevano averlo scoperto. Aveva sistemato tutto. Ma, insisteva un pensiero ossessivo, dovevano aver scoperto il suo segreto. Perché, altrimenti, Koll l’avrebbe chiamato con tanta urgenza? Quellen incominciò a sudare nonostante il condizionamento che eliminava in gran parte il caldo tremendo del Congo. L’avrebbero rimandato nella Classe Dodici se l’avevano scoperto. O, più probabilmente, l’avrebbero rispedito alla Classe Otto. Avrebbe passato il resto della vita in una stanzetta, in coabitazione con altri due o tre individui: gli individui più grossi, puzzolenti e antipatici che potessero trovare. Quellen diede una lunga occhiata agli alberi verdi che si piegavano sotto il peso delle fronde. Guardò malinconicamente le due stanze spaziose, il portico lussuoso, la vista senza ostacoli. Per un momento, ora che stava per perdere tutti, gli sembrò quasi delizioso persino il ronzio delle mosche. Diede un’ultima occhiata, ed entrò nello stat. Uscì nel minuscolo appartamento per gli appalachiani della Classe Tredici, dove tutti credevano che lui abitasse. Con movimenti rapidissimi si liberò degli abiti da campagna e indossò l’uniforme da lavoro, tolse il radion con la scritta Non disturbare dalla porta, e Joe Quellen, proprietario di un illegale nido intimo nel cuore di una riserva sconosciuta africana, si trasformò in Joseph Quellen, CrimineSec, difensore della legge e dell’ordine. Poi prese un mezzo rapido e andò in centro per parlare con Koll, attanagliato dalla paura. Quando entrò, lo stavano aspettando. Il piccolo Koll, con il naso aguzzo che lo faceva sembrare un enorme roditore, era seduto di fronte alla porta e studiava un fascio di minifogli. Spanner era dall’altra parte, con il collo taurino chino su altri memorandum. Quando entrò Quellen, Koll tese la mano verso la parete e aprì il bocchettone dell’ossigeno, facendone entrare una quantità sufficiente per tre. — Ci ha messo parecchio tempo — disse Koll, senza alzare la testa. — Chiedo scusa — mormorò Quellen. — Dovevo cambiarmi. — Qualunque cosa facciamo, non cambierà niente — disse Spanner, come se non fosse entrato nessuno. — Quel che è successo è successo, e non possiamo cambiarlo. — Si sieda Quellen — disse Koll. Poi, rivolgendosi a Spanner, rispose: — Credevo che ne avessimo già discusso. Se c’intromettiamo, scombineremo tutto. Sono passati quasi mille anni, causeremmo una grande confusione. Quellen sospirò di sollievo. Qualunque cosa li preoccupasse, non era il suo nascondiglio clandestino in Africa. Guardò più attentamente i superiori, ora che i suoi occhi non erano più appannati dalla paura. Evidentemente stavano discutendo da un po’. Koll era il più profondo dei due, pensò, ma Spanner aveva più potere. — Sta bene, Koll. Sono disposto ad ammettere che scombinerà il passato. Lo riconosco. — Bene, è già qualcosa — disse Koll. — Non m’interrompa. Sono ancora dell’idea che dobbiamo farlo smettere. Koll fissò Spanner e Quellen si accorse che l’unica ragione per cui teneva a freno la collera era proprio la sua presenza. — Perché, Spanner, perché? Se lasciamo che la cosa continui, manteniamo la situazione così com’è. Se ne sono già andati quattromila, e rappresenta soltanto una goccia. Guardi… qui dice che nei primi tre secoli ne arrivò più di un milione, e poi le cifre continuarono ad aumentare. Pensi alla popolazione che stiamo perdendo! È meraviglioso! Non possiamo permetterci di tenere qui quella gente quando abbiamo la possibilità di sbarazzarcene. E quando la storia afferma che ce ne siamo sbarazzati. Spanner grugnì e studiò le minischede che aveva in mano. Lo sguardo di Quellen passò fulmineamente da un uomo all’altro. — Sta bene — disse lentamente Spanner. — Sono d’accordo, è una gran bella cosa continuare a perdere tutti quei proletari. Ma credo che ci stiano anche imbrogliando. Ecco la mia idea: dobbiamo lasciare che continui così, dice lei, altrimenti altereremmo il passato. Non discuto, dato che sembra così sicuro. Inoltre, lei pensa che sia un’ottima cosa usare questa faccenda come sistema per riprodurre la popolazione. Sono d’accordo anche in questo. Il sovraffollamento non piace più di quanto piaccia a lei, e riconosco che la situazione ha raggiunto un livello ridicolo, al giorno d’oggi. Ma… d’altra parte, il fatto che qualcuno abbia un’organizzazione di viaggi nel tempo a nostra insaputa è immorale e peggio, e bisogna fermarlo. Cosa ne dice, Quellen? È il suo campo, lo sa bene. Quella chiamata in causa lo fece sussultare. Quellen stava ancora sforzandosi di scoprire esattamente di che cosa stavano parlando. Sorrise a fatica e scrollò la testa. — Non ha un’opinione? — chiese bruscamente Koll. Quellen lo guardò. Non era capace di fissarlo negli occhi e gli puntò lo sguardo sugli zigomi. — Nessuna opinione, Quellen? È un vero peccato. Non depone a suo favore. Quellen rabbrividì. — Non mi sono tenuto al corrente degli ultimi sviluppi del caso. Ho avuto molto da fare con certi progetti che… Non finì la frase. Con ogni probabilità i suoi zelanti assistenti sapevano tutto della situazione, pensò. Perché non ho consultato Brogg? — Sa che quattromila proletari sono scomparsi nel nulla a partire dall’inizio dell’anno? — No, signore. Ah, volevo dire, sì, signore. È che non abbiamo ancora avuto la possibilità di fare qualcosa. — Molto male, Quellen, molto male, si disse. Naturalmente tu non ne sai nulla, quando passi tutto il tempo nel tuo bel nascondiglio oltre l’oceano. Ma Brogg, probabilmente, sa tutto. È così efficiente. — Bene, dove pensa che siano andati? — chiese Koll. — Forse penserà che siano saltati tutti negli stat e siano andati da qualche parte in cerca di lavoro? Magari in Africa? Era una freccia avvelenata. Quellen rabbrividì, e cercò di nascondere alla meglio quella reazione. — Non ne ho idea, signore. — Allora non ha letto bene i libri di storia, Quellen. Ci pensi: qual è stato il più importante sviluppo storico degli ultimi dieci secoli? Quellen si chiese: Già, qual è stato? Erano successe tante cose, e lui non era mai stato molto forte in storia. Cominciò a sudare. Distrattamente Koll aumentò un po’ l’ossigenazione, con un gesto amichevole che era quasi insultante. — Allora glielo dirò io. È l’arrivo dei saltatori. E questo è l’anno dal quale sono partiti. — Ma certo — disse Quellen, irritato con con se stesso. Tutti sapevano dei saltatori. Il fatto che Koll glielo avesse rammentato era un’offesa voluta. — Quest’anno qualcuno ha scoperto i viaggi nel tempo — disse Spanner. — Sta cominciando a riportare i saltatori nel passato. Quattromila proletari disoccupati se ne sono già andati, e se non lo prendiamo in fretta, riempirà il passato di tutti i vagabondi del paese. — E con questo? È proprio ciò che intendevo dire — obiettò spazientito Koll. — Sappiamo che sono arrivati nel passato; lo dicono i nostri libri di storia. Adesso possiamo starcene tranquilli e lasciare che questo tizio distribuisca nel passato i nostri rifiuti. Spanner si voltò di scatto a fronteggiare Quellen. — Cosa ne pensa? — domandò. — Dovremmo catturare questo individuo e interrompere la fuga dei saltatori? Oppure dovremmo fare come suggerisce Koll, e lasciare che la faccenda continui? — Ho bisogno di tempo per studiare il caso, — disse Quellen, insospettito. L’ultima cosa che voleva era essere costretto a esprimere un giudizio in favore di uno dei due superiori. — Io ho un’idea — disse Spanner a Koll. — Perché non acchiappiamo questo furbacchione e non lo convinciamo a consegnare al governo la sua macchina del tempo? Allora noi potremmo gestire un servizio governativo e far pagare un tanto ai saltatori per mandarli indietro nel tempo. Così sarebbe l’ideale… prenderemmo il nostro uomo, il governo si troverebbe il viaggio nel tempo su un piatto d’argento, i saltatori tornerebbero egualmente nel passato senza cambiarlo, e poi ci guadagneremo un po’ di denaro. Koll s’illuminò. — È la soluzione perfetta, — disse. — Geniale, Spanner. Quellen… Quellen s’irrigidì: — Sì, signore? — Si metta subito al lavoro. Rintracci questo tizio e lo arresti, ma non prima di essersi fatto rivelare il segreto. Non appena l’avrà individuato, il governo potrà incominciare ad esportare saltatori. II Quando fu tornato nel suo ufficio, dietro la sua piccola scrivania, Quellen poté sentirsi di nuovo importante. Suonò per chiamare Brogg e Mikken, e i due SottoSec si presentarono quasi immediatamente. — È un piacere rivederla — disse Brogg in tono acido. Quellen aprì il bocchettone e lasciò fluire l’ossigeno nell’ufficio, cercando di imitare l’espressione paternalistica che Koll aveva assunto mentre compiva lo stesso gesto, dieci minuti prima. Mikken salutò con un cenno secco. Quellen li scrutò tutti e due. Brogg era quello che conosceva il segreto; Quellen gli pagava un terzo del proprio stipendio perché non dicesse niente della sua seconda casa: la casa segreta. Mikken non sapeva e non se ne curava; lui prendeva gli ordini direttamente da Brogg, non da Quellen. — Immagino sappiate delle recenti scomparse dei proletari, — esordì Quellen. Brogg tirò fuori un grosso fascio di minischede. — Per la verità, stavo appunto per parlargliene. Sembra che finora, quest’anno, siano scomparsi quattromila proletari disoccupati. — Cos’ha fatto finora per risolvere il caso? — domandò Quellen. — Ecco — disse Brogg, camminando avanti e indietro nel piccolo ufficio e asciugandosi il sudore dalle gote massicce, — ho accertato che queste sparizioni sono collegate direttamente alle notizie storiche della comparsa dei saltatori verso la fine del ventesimo secolo e negli anni successivi. — Brogg indicò il libro che stava sulla scrivania di Quellen. — È un testo di storia. L’ho messo lì per lei. Conferma le mie scoperte. Quellen si passò l’indice lungo la mascella e si chiese cosa si doveva provare quando si aveva la faccia grassa come Brogg. Brogg sudava parecchio, e la sua faccia sembrava supplicare Quellen di aprire un po’ di più il bocchettone dell’ossigeno. Quel momento di superiorità fece piacere al CrimineSec, che si guardò bene dal tendere la mano verso la parete. — Ho già preso in considerazione questi fattori — disse Quellen. — E ho deciso una linea d’azione. — Ne ha discusso con Koll e Spanner? — chiese Brogg in tono insolente. Le sue gote cascanti tremolavano quando parlava. — Sì — disse Quellen, con tutta l’energia di cui era capace. Era irritato perché Brogg l’aveva smontato con tanta facilità. — Voglio che lei rintracci il furbacchione che spedisce i saltatori nel passato. Lo porti qui. Voglio che venga preso prima che abbia il tempo di mandare nel passato qualcun altro. — Sissignore — disse Brogg, rassegnato. — Venga, Mikken. — L’altro assistente si alzò con fare riluttante e lo seguì. Quellen guardò dalla videofinestra e li seguì con gli occhi quando apparvero sulla strada, si fecero largo tra la folla, raggiunsero il marciapiede mobile e sparirono tra la moltitudine. Poi, con una gioia quasi rabbiosa, aprì al massimo il bocchettone dell’ossigeno e si appoggiò alla spalliera della poltroncina. Dopo un po’ decise di mettersi al corrente della situazione. Non era facile vincere l’apatia, dato che il suo desiderio più grande era abbandonare Appalachia e ritornare in Africa al più presto possibile. Accese il proiettore e il libro di storia incominciò a scorrere. Quellen lesse. Il primo segno d’invasione dal futuro si ebbe intorno al 1962, quando alcuni uomini dallo strano abbigliamento apparvero nella parte di Appalachia allora conosciuta come Manhattan. La documentazione dimostra che apparvero con frequenza crescente per tutto il decennio successivo, e quando venivano interrogati tutti ammettevano di essere venuti dal futuro. L’evidenza finì per costringere gli abitanti del secolo ventesimo a concludere che si trovavano alle prese con un’invasione, pacifica ma fastidiosa, di viaggiatori del tempo. C’era parecchio di più, ma Quellen ne aveva abbastanza. Spense il proiettore. Nel piccolo ufficio il caldo era opprimente, nonostante l’aria condizionata e l’ossigeno. Guardò disperato le pareti che lo soffocavano, e pensò con nostalgia al fiume torbido che scorreva davanti al portico del suo rifugio africano. — Ho fatto tutto quello che potevo — disse, e uscì dalla finestra per prendere il primo battello rapido e ritornare al suo appartamento di Classe Tredici. Considerò fuggevolmente l’idea di dare a Brogg l’incarico di occuparsi del caso mentre lui faceva ritorno in Africa: ma sarebbe stato come cercarsi guai. Quellen aveva dimenticato di tenere rifornita la sua scorta di viveri, e dato che il suo soggiorno ad Appalachia minacciava di diventare molto lungo o addirittura permanente, decise di fare provviste. Fissò il radion Non disturbare alla porta e scese la tortuosa rampa volante per andare all’emporio, deciso ad equipaggiarsi per un lungo assedio. Mentre scendeva, notò un uomo dalla carnagione olivastra che stava salendo. Quellen non lo riconobbe, ma non era strano; nella tumultuosa, affollata Appalachia nessuno conosceva mai molta gente, a parte il custode dell’emporio e pochi vicini. L’uomo lo guardò curiosamente e parve dire qualcosa con gli occhi. Sfiorò Quellen e gli mise in mano un minifoglio appallottolato. Quellen l’aprì quando l’altro si fu allontanato su per la rampa, e lesse. Disoccupato? Vada da Lanoy. Il foglio non diceva altro. Immediatamente lo spirito di CrimineSec di Quellen entrò in azione. Come molti pubblici ufficiali che trasgredivano la legge, era molto energico nel perseguire gli altri trasgressori, e nel foglietto di Lanoy c’era qualcosa che puzzava d’illegalità. Quellen si voltò verso l’uomo dalla carnagione olivastra che si era allontanato in fretta, ma quello era già sparito. Poteva essere andato chissà dove, dopo aver lasciato la rampa. Disoccupato? Vada da Lanoy. Quellen si chiese chi era Lanoy e qual era il suo rimedio magico. Decise d’incaricare Brogg di fare qualche indagine. Riponendo scrupolosamente in tasca il minifoglio entrò nell’emporio. Il gestore, un ometto dalla faccia rosa, lo accolse con inconsuete manifestazioni di cordialità. — Oh, è il CrimineSec! È molto tempo che non ci faceva l’onore, CrimineSec — disse. — Cominciavo a pensare che avesse traslocato. Ma è impossibile, no? Mi avrebbe informato se avesse avuto una promozione. — Sì, Greevy, è vero. Sono stato via, ultimamente. Ho avuto molto da fare. — Quellen aggrottò la fronte. Non voleva che le sue assenze venissero notate dall’intera comunità. Fece l’ordinazione, mandò di sopra le provviste con lo stat, e lasciò l’emporio. Uscì per la strada un momento e si fermò a guardare le moltitudini che passavano. Portavano abiti di tutti i modelli e di tutti i colori. Parlavano incessantemente. Il mondo era un alverare, enormemente sovrappopolato. Quellen aveva nostalgia del tranquillo rifugio che aveva costruito a così caro prezzo e con tanta trepidazione. Più vedeva i coccodrilli, e meno amava la compagnia delle folle che brulicavano nelle città. Stavano succedendo illegalità di ogni genere… non sforzi comprensibili per sfuggire a un’esistenza intollerabile, come nel suo caso, ma cose malefiche, sfuggenti, imperdonabili. Come quel Lanoy, pensò Quellen, tastando il minifoglio che aveva messo in tasca. Come riusciva a nascondere le sue attività, quali che fossero, ai suoi compagni di stanza? Senza dubbio non era un Classe Tredici. Quellen provava uno strano senso di affinità per lo sconosciuto Lanoy. Anche lui stava battendo il sistema. Era un tipo astuto, e forse sarebbe valsa la pena di conoscerlo. Quellen se ne andò. III Una telefonata di Brogg lo fece ritornare in fretta all’ufficio. Quellen trovò i suoi due SottoSec che lo attendevano in compagnia di un terzo uomo, alto, angoloso, malvestito, con il naso spezzato che sporgeva dalla faccia come un becco. Brogg aveva aperto al massimo il bocchettone dell’ossigeno. — È lui? — chiese Quellen. Non gli sembrava probabile che quel proletario dimesso — troppo povero, sembrava, per farsi fare la plastica al naso — fosse l’organizzatore della fuga dei saltatori. — Dipende. A chi si riferisce? — ribatté Brogg. — Dica al CrimineSec chi è — continuò, dando una brusca gomitata al proletario. — Mi chiamo Brand — disse il proletario, con voce acuta, stranamente alta. — Classe Quattro. Non volevo fare niente di male, signore… è che lui mi aveva promesso una casa tutta per me, e un lavoro, e aria pura… Brogg l’interruppe. — L’abbiamo trovato in un bar. Aveva bevuto qualche bicchiere di troppo e stava raccontando a tutti che presto avrebbe avuto un lavoro. — È quel che mi aveva detto quel tizio — mormorò Brand. — Bastava che gli dessi duecento crediti, e mi avrebbe mandato in un posto dove avevano tutti un lavoro. E avrei potuto mandare il denaro perché la mia famiglia mi seguisse. Mi sembrava una gran bella cosa, signore. — Come si chiamava questo tizio? — chiese seccamente Quellen. — Lanoy, signore. — Quellen trasalì nel sentire il nome. — Qualcuno mi ha dato questo e mi ha detto di mettermi in contatto con lui. Brand porse un minifoglio gualcito. Quellen l’aprì e lo lesse. Disoccupato? Vada da Lanoy. Molto interessante. Si frugò in tasca e tirò fuori il foglietto che gli era stato consegnato sulla rampa volante. Disoccupato? Vada da Lanoy. Erano identici. — Lanoy ci ha mandato molti miei amici — disse Brand. — Mi ha detto che tutti lavoravano e stavano bene, signore… — Dove li manda? — chiese Quellen, in tono più gentile. — Non lo so, signore. Lanoy mi ha detto che me l’avrebbe spiegato quando gli avrei dato i duecento crediti. Ho prelevato tutti i miei risparmi. Stavo andando da lui quando mi sono fermato a bere qualcosa e allora… allora… — L’abbiamo trovato noi — concluse Brogg. — Stava raccontando a tutti che andava da Lanoy per un lavoro. — Uhm. Sa cosa sono i saltatori, Brand? — No, signore. — Allora non importa. Ci accompagni da Lanoy. — Non posso farlo. Non sarebbe giusto. Tutti i miei amici… — Possiamo costringerla ad accompagnarci da Lanoy — disse Quellen. — Ma lui doveva darmi un lavoro! Non posso. La prego, signore. Brogg guardò Quellen. — Mi lasci provare — disse. — Lanoy doveva darle un lavoro, ha detto? Per duecento crediti? — Sì, signore. — Supponiamo che le dicessimo che le daremo un lavoro per niente. Nessun pagamento: basta che ci porti da Lanoy, e noi la manderemo dove l’avrebbe mandata lui, ma gratis. E manderemo anche la sua famiglia. Quellen sorrise. Brogg era uno psicologo molto più abile di lui, doveva riconoscerlo. — Questo è giusto — disse Brand. — Vi accompagnerò. Mi dispiace… Lanoy è stato gentile con me… ma se lei dice che mi manderete gratis… — Appunto, Brand — disse Brogg. — Allora ci sto. Quellen abbassò il bocchettone dell’ossigeno. — Andiamo, prima che cambi idea. — Brogg fece un cenno a Mikken, che condusse fuori Brand. — Viene con noi, signore? — chiese Brogg. C’era una vaga sfumatura di sarcasmo nel suo tono ossequioso. — Probabilmente sarà nella parte più lurida della città. Quellen rabbrividì. — Ha ragione — disse. — Andate voi due. Io aspetterò qui. Non appena se ne furono andati Quellen chiamò Koll. — Abbiamo trovato un’ottima pista — disse. — Brogg e Mikken hanno scovato quello che lo fa, e lo porteranno qui. — Ottimo lavoro — disse freddamente Koll. — Dovrebbe essere un’indagine interessante. Ma per favore, non ci disturbi per un po’. Io e Spanner stiamo discutendo certi cambiamenti dell’organigramma. — E riattaccò. E questo che cosa significava? si chiese Quellen. Ormai era sicuro che Koll sapeva dell’Africa. Probabilmente aveva offerto a Brogg, per farlo parlare, una somma superiore a quella che Quellen gli pagava perché tacesse, e quello s’era venduto al maggior offerente. Naturalmente poteva darsi che Koll si riferisse a una promozione, ma era molto più probabile che si trattasse d’una retrocessione. La colpa di Quellen era eccezionale. Nessun altro, a quanto ne sapeva, era stato tanto abile da trovare il modo di abbandonare la sovrappopolata Appalachia, la città-piovra che si estendeva su tutta la metà orientale dell’America del Nord. Tra tutti i duecento milioni di abitanti di Appalachia, soltanto Joseph Quellen, CrimineSec, era stato abbastanza furbo per trovare un pezzetto di terra sconosciuto e disabitato nel cuore dell’Africa e per costruirsi una seconda casa. Aveva il tipico cubicolo della Classe Tredici ad Appalachia, più una residenza di Classe Venti che trascendeva i sogni di quasi tutti i mortali, accanto a un fiume torbido del Congo. Era bello, bellissimo, per un uomo la cui anima si ribellava all’esistenza da insetto in Appalachia. L’unico guaio era che ci voleva molto denaro per corrompere la gente. Alcuni sapevano che Quellen viveva lussuosamente in Africa anziché abitare in un cubicolo di tre metri per tre nell’Appalachia del Nord-Ovest, da buon Tredici. Qualcuno (Brogg, ne era sicuro) l’aveva venduto a Koll. E Quellen si trovava in una situazione molto pericolosa. La retrocessione l’avrebbe privato del diritto di avere un cubicolo tutto suo; avrebbe dovuto dividere nuovamente la sua casa, come aveva fatto con il non rimpianto Marok. Non era andata tanto male quando era nelle classi inferiori alla Dodici e aveva vissuto prima nei dormitori e poi, via via, in stanze più private. Quando era più giovane la gente gli dava meno fastidio. Ma poi, essere promosso alla Classe Dodici, essere sistemato in una stanza con un’altra persona… era stata l’esperienza più dolorosa, e l’aveva inacidito definitivamente. Marok era stato un brav’uomo, pensò Quellen. Ma gli aveva dato sui nervi, con la sua sciatteria e le interminabili visifonate e la presenza continua. Quellen aveva sognato il giorno in cui avrebbe raggiunto la Classe Tredici e sarebbe vissuto solo, non più con un compagno di stanza che lo controllava di continuo. Sarebbe stato libero… libero di sfuggire alla folla. Koll sapeva? Presto l’avrebbe scoperto. Il telefono squillò. Era Brogg. — L’abbiamo preso — disse. — Stiamo per tornare. — Ottimo lavoro, ottimo lavoro. Quellen chiamò Koll. — Abbiamo preso il tizio — disse. — Brogg e Mikken lo stanno portando qui per interrogarlo. — Buon lavoro — disse Koll, e Quellen notò la traccia d’un sorriso sincero sulle labbra sottili del suo superiore. — Ho appena preparato il modulo della promozione per lei — soggiunse distrattamente. — Mi sembra ingiusto lasciare che un CrimineSec viva in un’unità della Classe Tredici quando merita almeno la Quattordici. Dunque non lo sa, dopotutto, pensò Quellen. Poi lo colpì un altro pensiero. Come avrebbe fatto a spostare lo stat illegale nel nuovo alloggio senza farsi scoprire? Forse Koll voleva soltanto metterlo in trappola. Quellen si premette le mani contro le tempie e rabbrividì mentre aspettava Brogg, Mikken… e Lanoy. — Ammette di aver mandato gente nel passato? — chiese Quellen. — Sicuro — disse baldanzosamente l’ometto. Quellen lo squadrò e si sentì pervadere da un guizzo irrazionale di collera. — Sicuro. Posso mandarla indietro nel tempo per duecento crediti. Brogg stava in piedi dietro l’ometto, a braccia conserte, e Quellen lo fronteggiava, seduto alla scrivania. — Lei è Lanoy? — È il mio nome. — Era un ometto bruno, intenso, simile a un coniglio, con le labbra sottili che si muovevano di continuo. — Sicuro, sono Lanoy. — L’ometto irradiava un senso di calore, di sicurezza. Stava seduto con le gambe accavallate, a testa alta. — Non è stato molto bello il modo in cui mi hanno rintracciato i suoi uomini — disse Lanoy. — È stato già grave che abbiate imbrogliato quel povero proletario per convincerlo a portarvi da me, ma non era necessario che mi trattassero male. Non faccio niente di illecito, sa. Dovrei farvi causa. — Sta disturbando gli ultimi mille anni di storia! — Non è vero — rispose Lanoy, calmissimo. — Sono già stati disturbati. Io faccio solo in modo che la storia del passato si svolga come si è svolta, se capisce quello che voglio dire. Quellen si alzò, ma si accorse che non c’era spazio per muoversi, nell’ufficio piccolissimo, e tornò a sedersi. Si sentiva stranamente debole in presenza di quell’uomo. — Ma rimanda nel passato i proletari perché diventino saltatori. Perché? Lanoy sorrise. — Per guadagnarmi da vivere. Lo capirà, senza dubbio. Possiedo un sistema molto prezioso, e voglio essere sicuro di ricavarne tutto quello che posso. — Ha inventato il viaggio nel tempo? — Non ha importanza — disse Lanoy. — Lo controllo. — Perché non torna semplicemente indietro nel tempo a rubare o a fare scommesse, per guadagnarsi da vivere? — Potrei farlo — ammise Lanoy, — ma è un processo irreversibile, e non c’è possibilità di ritornare al presente. E mi piace stare qui, capisce? — Senta, Lanoy — disse Quellen, — sarò molto franco. Noi vogliamo il suo congengo dei viaggi nel tempo, e lo vogliamo subito. — Mi dispiace — disse Lanoy. — È proprietà privata. Non avete nessun diritto. Quellen pensò a Koll e a Spanner, e provò collera e paura. — Quando avrò finito con lei, rimpiangerà di non aver usato la sua macchina per tornare indietro d’un milione di anni. Lanoy restò calmissimo, e Quellen si sorprese nel vedere che Brogg sorrideva. — Andiamo, su, CrimineSec — disse l’ometto. — Sta incominciando ad arrabbiarsi, e questo è sempre illogico. Quellen si rese conto che Lanoy diceva la verità; ma non riusciva a calmarsi. — La terrò a marcire in prigione — minacciò. — E che cosa ci guadagnerebbe? — chiese Lanoy. — Le dispiacerebbe darmi un po’ più di ossigeno, a proposito? Qui dentro si soffoca. Sbalordito, Quellen spalancò il bocchettone. Brogg manifestò sorpresa, e persino Mikken sbatté le palpebre, stupito dal cattivo gusto di Lanoy. — Se lei mi arresta, la rovino, Quellen. Non c’è niente di illecito in quello che sto facendo. Guardi qua… sono un mediatore registrato. — Lanoy mostrò una carta con i timbri regolamentari. Quellen non sapeva che cosa dire: Lanoy lo aveva in pugno, lo sapeva, e Brogg si divertiva immensamente alle sue spalle. Si morse le labbra, scrutando con attenzione l’ometto, e si augurò fervidamente di essere in riva al suo fiume in Congo, a gettare pietre ai coccodrilli. — Comunque, farò cessare i suoi viaggi nel tempo — disse alla fine. Lanoy ridacchiò. — Non glielo consiglierei, Quellen. — Mi chiami CrimineSec, Lanoy. — Non glielo consiglierei, Quellen — ripeté l’ometto. — Se ferma i saltatori, adesso, mette sottosopra il passato. Quelli sono andati nel passato. È documentato dalla storia. Alcuni di loro si sposarono ed ebbero figli, e i discendenti di quei figli sono vivi ai giorni nostri. A quanto ne so io, Quellen, anche lei potrebbe essere il discendente di un saltatore che spedirò nel passato la settimana prossima… e se quel saltatore non andrà nel passato, Quellen, lei smetterà di esistere. Le sembra un modo piacevole di morire, CrimineSec? Quellen lo fissò, cupo. Brogg stava in piedi dietro Lanoy, in silenzio; all’improvviso CrimineSec ebbe la certezza che il Sotto-Sec avesse sempre manovrato per rubargli il posto, e che Lanoy stesse eliminando con molta efficienza l’ultimo ostacolo. Marok, Koll, Spanner, Brogg, e adesso Lanoy… erano tutti decisi a prenderlo nella rete. Era una tacita congiura. Silenziosamente maledisse i duecento milioni di abitanti di Appalachia e si chiese se avrebbe più conosciuto un momento di solutudine. — Il passato non cambierà, Lanoy — disse. — La chiuderemo in prigione, sicuro, e prenderemo la sua macchina, ma provvederemo noi a spedire i saltatori nel passato. Non siamo tanto stupidi, Lanoy. Faremo in modo che tutto resti com’è. Lanoy lo guardò con un’aria che era quasi di pietà, come se osservasse una farfalla particolarmente rara trafitta da uno spillo su un cartone da collezione. — È questo il suo gioco, CrimineSec? Perché non me l’ha detto prima? In questo caso dovrò prendere misure per proteggermi. Quellen avrebbe voluto andare a nascondersi. — Che cosa ha intenzione di fare? — Dovremmo parlarne in privato, Quellen — disse l’ometto. — Potrei dire cose che lei non vuole far sentire ai suoi subordinati. Quellen guardò Brogg. — L’avete perquisito? — Non ha armi — disse Brogg. — Non c’è da aver paura. Aspetteremo in anticamera. Venga, Mikken. Pesantemente Brogg uscì dall’ufficio, seguito dal taciturno Mikken. Quando rimase solo con Lanoy, Quellen andò ad abbassare l’ossigeno. — Lo lasci, Quellen — disse Lanoy. — Mi fa piacere respirare bene a spese del governo. — Qual è il suo gioco? — chiese Quellen. Era irritato: Lanoy era un individuo ignobile che offendeva il suo orgoglio e la sua dignità. — Per essere sincero con lei, CrimineSec — disse l’ometto, — voglio la mia libertà e voglio continuare la mia attività. Mi piace così: è quello che voglio. Lei vuole arrestarmi e continuare a fare quello che faccio io. È questo che vuole. Giusto? — Sì. — Ora, in una situazione come questa abbiamo in gioco due desideri che si escludono a vicenda. Quindi è la forza più potente a vincere… sempre. Io sono più forte, quindi dovrà lasciarmi andare e lasciar perdere l’indagine. — Chi dice che lei è il più forte, Lanoy? — Io sono forte perché lei è debole. So parecchie cose sul suo conto, Quellen. So che odia la folla e ama l’aria fresca e gli spazi aperti. Sono idiosincrasie fastidiose per chi vive in un mondo come il nostro, non è vero? — Continui — disse Quellen. Imprecò silenziosamente contro Brogg… nessun altro poteva avere rivelato a Lanoy il suo segreto. — Quindi lei mi lascerà andare, altrimenti si ritroverà in un’unità della Classe Dodici o Dieci. Non le piacerebbe molto, CrimineSec. Dovrà dividere la sua stanza, e forse il suo compagno non le sarà simpatico, ma non potrà farci niente. E quando ha un compagno di stanza non è libero di scappare. Lui la denuncerebbe. — Come sarebbe a dire… scappare? — La voce di Quellen era un mormorio rauco. — Sarebbe a dire scappare in Africa, Quellen. Ecco, pensò Quellen. Ormai è finita; Brogg mi ha venduto. Ora che Lanoy conosceva il suo segreto, Quellen era completamente in suo potere. — Mi dispiace moltissimo, Quellen. Lei è un brav’uomo, prigioniero di un mondo che non è opera sua e che non le piace molto. Ma si tratta di lei o di me, e so chi vince sempre, in faccende come questa. Scaccomatto. — Avanti — mormorò Quellen. — Si muova. — Sapevo che avrebbe capito — disse Lanoy. — Ora me ne andrò. Lei non mi dia noie, e Koll non saprà neppure di quella sua casetta. — Se ne vada — disse Quellen. Lanoy si alzò, salutò Quellen, e sgattaiolò fuori. IV Quando Lanoy se ne andò, entrò Koll. Quellen, con la faccia tra le mani, lo vide con la coda dell’occhio e per un momento pensò che Lanoy fosse tornato. Poi alzò la testa. — Volevo dare un’occhiata al suo uomo — disse Koll; — ma non c’è. — L’ho mandato dentro — disse Quellen con un filo di voce. — Controllerò — disse Koll. — Quel tizio m’incuriosisce molto. — Se ne andò, ed entrò Brogg. — È stata una bella chiacchierata, CrimineSec? — chiese Brogg sorridendo. Come sempre, la fronte del grassone era coperta di gocce di sudore. — Sì, grazie. — Quellen guardò il suo assitente con aria implorante. Se almeno l’avessero lasciato in pace per qualche istante! — Mi sembra che non sia più qui, CrimineSec. Avevo qualche domanda da fare al suo amico Lanoy, ma non riesco a trovarlo. — Non so dove sia andato, Brogg. — È sicuro, CrimineSec? Dov’è, Quellen? — chiese maliziosamente Brogg. — Non lo so. — Era la prima volta che Brogg non l’aveva chiamato con il titolo che gli spettava. — Se ne vada. Brogg sorrise ironicamente e uscì, chiudendo meticolosamente la porta. Quellen restò seduto sulla pneumopoltrona, scrollando la testa. Ormai era nei guai. Se non avesse consegnato Lanoy, sarebbe scoppiato un inferno. Se l’avesse ricatturato, Lanoy avrebbe spifferato tutto: in ogni caso, lui era fregato. Attraversò in punta di piedi l’altro ufficio, e Brogg lo guardò con evidente interesse. Uscì nella via affollata e prese il primo battello rapido per tornare al suo appartamento. Era bello essere di nuovo solo. Si aggirò a caso per un momento, e poi si avvicinò allo stat. Bastava che vi entrasse per ritornare in Africa, in riva al fiume tortuoso con i coccodrilli. Non avrebbe più avuto un lavoro, ma non l’avrebbero mai trovato, e avrebbe potuto passare in santa pace il resto dei suoi giorni. Inutile, pensò, depresso. Non sarebbe stato al sicuro, poiché Brogg e Lanoy sapevano. Sarebbero riusciti a stanarlo abbastanza in fretta: l’Africa non era un posto sicuro. E poi, provava una sensazione strana e nuova… la sensazione di essere stato imbrogliato, di essere una specie di martire del sovraffollamento. Infilò le mani in tasca e restò davanti allo stat, considerando le implicazioni di quel concetto nuovo. Un mondo che non era opera sua, aveva detto Lanoy. Il senso di colpa svanì. Ci pensasse Koll a districare la matassa, si disse Quellen. Era fatta. Vi fu un turbinio, e Quellen ebbe la sensazione di essere stato capovolto e sventrato. Galleggiava su una nube purpurea, in alto, sopra un terreno indistinto, e stava cadendo. Cadde, roteando, e finì su un lungo tappeto verde. Restò immobile per un paio di istanti, aggrappandosi al suolo. Una manciata del tappeto gli restò in mano. La guardò con aria perplessa. Erba. L’odore pulito dell’aria lo colpì, e fu quasi un trauma fisico. Aveva il profumo di una stanza con l’ossigeno al massimo, ma era all’aperto. Quellen si scosse e si alzò. Il tappeto erboso si estendeva in tutte le direzioni, e davanti a lui c’era un bosco. Aveva visto gli alberi in Africa: in Appalachia non c’erano. Guardò attentamente. Un uccellino grigio saltellò sul ramo dell’albero più vicino e cominciò a cinguettare, senza paura, guardando Quellen. Quellen sorrise. Si chiese per quanto tempo Koll e Brogg l’avrebbero cercato, e se Brogg sarebbe riuscito a tener testa a Lanoy. Sperava che non ce la facesse; Brogg era un mascalzone e Lanoy, nonostante quel che faceva, era un gentiluomo. Quellen si mosse verso la foresta. Avrebbe dovuto trovare un fiume, e costruire là una casa, si disse. Avrebbe potuto costruire la casa grande quanto la voleva. Non provava rimorsi. Era stato uno spostato, gettato in un mondo che poteva soltanto odiare e che poteva solo tenerlo prigioniero. Adesso aveva avuto la sua grande occasione: toccava a lui. Due cervi uscirono a balzi dalla foresta. Quellen si fermò, sgomento. Non aveva mai visto animali così grandi. I cervi si allontanarono sgroppando allegramente. Il cuore di Quellen incominciò a cantare quando si riempì i polmoni di quell’aria dolce. Marok, Koll, Spanner, Brogg incominciavano a sbiadire e a dileguarsi. Buon vecchio Lanoy, pensò. Aveva mantenuto la parola, dopotutto. Il mondo è mio, pensò Quellen. Quindi anch’io sono un saltatore… e ho fatto il salto più lungo di tutti. Un uomo alto, dalla pelle rossa, uscì dalla foresta e si fermò accanto a un albero, guardandolo con aria solenne. Portava una cintura di pelle, un paio di sandali e niente altro; nei capelli aveva infilato una penna ornamentale. L’uomo dalla pelle rossa studiò Quellen per un momento, e poi alzò un braccio in un gesto inconfondibile. Quellen si sentì pervadere da un senso caloroso di cameratismo. Sorridendo, finalmente, Quellen gli andò incontro, con la mano levata.